Salvia: storia di un’aromatica

La salvia appartiene alla famiglia delle Lamiaceae e si compone di almeno novecento specie e migliaia di varietà. Pianta aromatica mediterranea conosciuta fin dall’antichità, per i Romani era una pianta sacra e ne codificarono la raccolta con un esclusivo rituale. Un’antica leggenda cristiana racconta che a questa pianta furono attribuite qualità terapeutiche, in quanto i suoi fiori erano stati il giaciglio di Gesù bambino, nelle soste della sacra famiglia, durante la fuga in Egitto.

La Scuola Medica Salernitana, una delle più famose del Medioevo, depositaria della conoscenza medica dell’antichità, aveva dato a questa pianta il nome di Salvia salvatrix cioè Salvia che salva. Ad essa dedicarono il capitolo n. 60 del Regimen Sanitatis Salernitanum, che inizia testimoniando il prestigio della salvia come erba miracolosa che tutto può fronteggiare tranne la morte:

Perché muore l’uomo a cui cresce la salvia nell’orto? Contro la forza della morte non c’è medicina negli orti. La salvia rafforza i nervi, toglie il tremore delle mani e per suo intervento la febbre alta se ne va. La salvia, il castoreo, la lavandula, la primula odorosa, il nasturzio e il tanaceto risanano le membra paralizzate. Oh salvia salvatrice, armonizzatrice della natura!

(Caput LX  De salvia – Regimen Sanitatis)

Della salvia ne parla anche Giovanni Boccaccio che ne fa materia di novella per la giornata degli amori infelici dove, per paradosso, è causa di morte:

…Era in quella parte del giardino, dove Pasquino e la Simona andati se ne erano, un grandissimo e bel cesto di salvia; a piè della quale postisi a sedere e gran pezza sollazzatosi insieme, e molto avendo ragionato d’una merenda che in quello orto ad animo riposato intendevan di fare, Pasquino dal gran cesto della salvia rivolto, di quella colse una foglia e con essa s’incominciò a stropicciare i denti e le gengie, dicendo che la salvia molto bene gli nettava d’ogni cosa che sopr’essi rimasa fosse dopo l’aver mangiato. E poi che così alquanto fregati gli ebbe, ritornò in sul ragionamento della merenda, della qual prima diceva. Né guari di spazio perseguì ragionando, che s’incominciò tutto nel viso a cambiare, e appresso il cambiamento non istette guari che egli perdè la vista e la parola, e in brieve egli si morì. (Decamerone, IV, 7)

Medesima sorte di Pasquino tocca anche a Simona che stoltamente per scagionarsi dall’accusa d’aver avvelenato il compagno, davanti al giudice, si sfrega sui denti una foglia di salvia colta dal medesimo cespuglio. A render venefica la salvia, si scopre poi, fu un rospo che l’aveva eletta ad abitazione. Per altro, Boccaccio dà qui conto dell’uso popolare di quest’erba quale dentifricio naturale.  Insomma, in quel giardino medievale non si era seguita la regola degli orti dei semplici, dove alla salvia era riservato il settore centrale dell’herbularius, sempre affiancata alla ruta, antidoto al veleno di serpenti e di rospi. Pur tuttavia il nefasto caso di Pasquino e Simona riserva un finale felice con la riabilitazione della salvia come erba salutifera, dal latino salvus cioè erba che salva. Sulla salvia una leggenda francese racconta la storia di quattro ladri che nel 1630, quando la peste colpì tutta l’Europa, saccheggiavano le case degli appestati senza mai contrarre la malattia. Quando furono arrestati e condannati a morte ebbero salva la vita perché rivelarono il segreto della loro immunità. Cioè si cospargevano il corpo con un aceto in cui avevano lasciato in infusione: salvia, rosmarino, timo e lavanda. Quattro piante note per le loro proprietà antisettiche e antibatteriche. Nacque così l’aceto dei quattro ladri che veniva usato come antibiotico naturale in caso di infezioni ed epidemie. Alla salvia, a tutt’oggi, è riconosciuta un’attività antibatterica e disinfettante; utile nelle patologie dell’apparato respiratorio nonché per l’igiene della bocca, oltreché digestiva. Dal punto di vista gastronomico la salvia vede il suo principale utilizzo per aromatizzare il burro fuso atto a condire primi piatti, dai ravioli agli spinaci ai pizzoccheri, ma anche per insaporire un brodo, un arrosto di carne o un pesce al forno. Particolarmente sfiziosa se pastellata e fritta. Insostituibile per aromatizzare i famosi saltimbocca alla romana e più in generale la carne, da quella bianca a quella rossa, preparata arrosto. Per un uso più creativo è da provare la salvia per profumare patate al vapore, la zucca cotta al forno, oppure da abbinare a lenticchie, barbabietole o melanzane. Un antipasto sfizioso sono certamente gli involtini di salvia fritti ripieni di purè di patate. Ottima per aromatizzare e colorare il pane fatto in casa o la pasta. La salvia elegans, con foglie più sottili, fiori rossi e dall’aroma più delicato, ben si presta ad aromatizzare formaggi ma anche alla realizzazione di creme pasticcere. La salvia è molto usata non solo in Italia, ma anche nei paesi dell’est e nel Regno Unito, dove aromatizza il famoso Sage Derby Cheese, il formaggio Derby alla salvia, dal classico aspetto marmorizzato. Negli Stati Uniti è una delle erbe tradizionali del Giorno del Ringraziamento, ed è usata per farcire il tacchino. In Francia costituisce l’ingrediente fondamentale del mix di erbe di Provenza. La ricca collezione inglese dei Royal Botanic Gardens di Kew,  testimonia, infine, come la salvia non vada relegata nell’orto per il mazzetto degli odori da usare in cucina, in quanto dalla umile varietà pratensis a quelle officinalis, fino alle numerose cultivar disponibili presso i vivaisti, le salvie possono rappresentare una risorsa straordinaria per i nostri giardini. Molte sono perenni, erbacee o arbustive danno tutte grandi soddisfazioni con poco impegno. Facili da coltivare, belle e varie nelle foglie, fiori dalla lunga durata e in una gamma cromatica pressoché completa.

RICETTA: Conchiglie al profumo di salvia

Ingredienti: 320 g di pasta formato conchiglie, 80 g di mandorle non sbucciate, trenta foglie di salvia, 40 g di parmigiano grattugiato, uno spicchio d’aglio e olio extravergine d’oliva q.b.

Preparazione: Lavare le foglie di salvia, asciugarle e tritarle finemente insieme alle mandorle. Versare il composto in padella, dopo aver fatto appassire uno spicchio di aglio nell’olio bollente, cuocere per un paio di minuti. Lessare la pasta, scolarla e mantecarla in padella aggiungendo se occorre un po’ di acqua di cottura, il parmigiano, un filo di olio e servire subito.