Attraverso il suo sito web l’Unesco ha annunciato l’iscrizione del cous cous, piatto popolare mediterraneo, nella lista del Patrimonio Culturale più importante al mondo. La richiesta per il prestigioso riconoscimento è stata avanzata, congiuntamente, dai quattro Paesi del Maghreb: Algeria, Marocco, Mauritania e Tunisia; la candidatura è intitolata “Conoscenze, know-how e pratiche relative alla produzione e al consumo di cous cous”.
Il cous cous, per la prima volta, senza dispute sulla paternità di questo piatto tradizionale a base di semola di grano duro, accompagnato da verdure, carne o pesce, sapientemente speziati, ha fatto ritrovare la condivisione e l’armonia tra queste antiche civiltà, sempre in eterna competizione. In questi quattro Paesi “donne e uomini, giovani e anziani, sedentari e nomadi, del mondo rurale o urbano, nonché dell’emigrazione, si identificano con questo piatto simbolo del vivere insieme”, afferma il documento di candidatura dell’Unesco, inoltre, lo stesso, non fornisce alcuna ricetta pratica.
Grande apprezzamenti ha riscosso la notizia in Italia e nel resto del mondo da parte di tutti gli estimatori di questo singolarissimo e internazionale piatto. Per lo scrittore Mario Liberto autore di due libri sul couscous: il primo, Cuscus: Storia, cultura e gastronomia, scritto per la Casa Editrice Agra di Roma nel 2013, vincitore, nello stesso anno, del premio internazionale “Gourmand World Libri AWARDS” nella categoria miglior libro sulla cucina araba, e il secondo, Couscous: Koinè culturale dei popoli, per la Casa Editrice Kalòs di Palermo del 2019: “costituisce un doveroso riconoscimento, ad un piato che ha favorito la koinè storica e gastronomica del continente mediterraneo, cultura cosmopolita e flessibile che si muove adattandosi alle esigenze minime dell’uomo”.
Ed inoltre: “Partendo dalle terre del Maghreb per arrivare alle regioni costiere della nostra penisola, esiste un vero e proprio itinerario del cous cous, in cui emergono per ogni territorio le caratteristiche di questa singolare ricetta che si intrecciano a ingredienti di altro genere, legati soprattutto alla sacralità, alla socialità e convivialità che una preparazione di questo tipo presuppone”.
Il cuscus viaggia e si diffonde via mare. Il Mediterraneo ha sdoganato il Cous cous, raggiungendo quattro regioni italiane: Sicilia, Toscana, Sardegna e Liguria. Ogni regione lo chiama con nome differente: a Trapani Cùscusu trapanisi; nell’ Isola di San Pietro (Sardegna): Cascà; a Livorno: Cuscussù; A Genova, dove muore tutto quello che arriva, si chiamerà Cuscus. Ad Agrigento resiste anche un particolare Cuscus dolce. Un dolce che non ha lasciato indifferente l’attentissimo Leonardo Sciascia che, dopo averlo assaporato, lo ha così descritto: “È già un miracolo riuscirlo ad assaggiare per una volta. Degno di un’agape angelica arrivato, per segreto tramite, a noi peccatori”. Molti studiosi, pur riconoscendo l’origine maghrebina del couscous, attribuiscono agli ebrei la paternità della diffusione del piatto in tutto il Mediterraneo: “È quindi assai probabile che la notevole immigrazione di ebrei, avvenuta in varie ondate nel corso del Settecento, dal Marocco e dalla Tunisia nel porto di Livorno (e di lì a Firenze), abbia introdotto tra gli ebrei italiani il gusto per questo piatto esotico”.
Liberto lo esplicita chiaramente: “Il Cuscus cammina assieme al corallo e agli Ebrei”. Ed inoltre: “La lavorazione del corallo era quasi interamente nelle mani degli ebrei che, costretti spesso alla fuga, portavano con sé i segreti del mestiere e li trasferivano lì dove si andavano a stabilire, ecco spiegate le cause dell’alterna fortuna di Genova, Trapani, Livorno, Marsiglia: le antiche capitali del corallo”. Queste minute palline sono capaci di combinarsi con alimenti che ogni lembo di terra custodisce. Pertanto, la duttilità d’uso del couscous lo rende buono con le carni di montone, con i pesci di scoglio, con le verdure, con le leguminose, ecc., insomma buono per ogni elargito della Provvidenza. Il couscous è il piatto per tutti i gusti e per tutte le occasioni. Il couscous può essere assimilato a quella grande famiglia di piatti unici tipici della cucina mediterranea, che ciascuno può condire in definitiva come gli pare. E, ancora, «Quest’ultima umile pietanza, comunque denominata, attesta sempre una fase importante del passaggio dalla preistoria alla storia, dal nomadismo all’insediamento stanziale. Racconta lo stadio primordiale della civiltà del pane, quando (non essendo stato ancora inventato il lievito) l’uomo si nutriva di cereali abbrustoliti, polente e farinate». Insomma, il couscous era ed è l’alimento simbolo di un’economia contadina e pastorale, con una forte componente di nomadismo, tipica dei territori subsahariani, da sempre difficili da percorrere a causa delle condizioni climatiche al limite della sopportazione, assoggettati da inferociti predoni.
Liberto afferma inoltre: “Il Cuscus buono per nomadi, califfi, carovanieri, predoni nel passato è diventato buono per omini di Stato, manager, gastronomi, cultori del buon gusto, la conquista di questo piatto è avvenuta silenziosamente grazie ai cuochi e le donne mediterranee per diventare “Piatto della pace della concordia tra i popoli”.
Professionista da 45 anni nel settore enogastronomico:
• Maestro Sommelier Enogastronomo Esperto Degustatore
• Analista Sensoriale degli Alimenti e delle Bevande
• Docente di enogastronomia e di analisi sensoriale degli alimenti
• Relatore, scrittore e critico enogastronomico
• Giornalista Enogastronomo (Tessera n° 087289 dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti (ROMA)
• Commissario degustatore nei concorsi enologici e gastronomici
regionali, nazionali ed internazionali.