“Dogliani, terre di non solo Dolcetto. Visita all’azienda agricola Gillardi”.

Andare controcorrente è una scelta audace, faticosa, coraggiosa, audace e rischiosa, ma citando il poeta Kipling, “Il più grande pericolo nella vita è quello di non rischiare”.

Il territorio di Dogliani è ormai un consolidato sinonimo di Dolcetto, vino bevibile ma troppo spesso evitato sia nelle carte dei ristoranti che negli scaffali delle enoteche, forse perché considerato un vino semplice e poco elegante?

È proprio a Dogliani, più precisamente a Farigliano che incontro Elena Gillardi, produttrice di vino e Brand Manager dell’azienda agricola Gillardi. Qui il territorio argilloso, l’esposizione dei vitigni a sud, il vento che accarezza dolcemente le piante di vite, il fiume Tanaro che scorre lento sulla pianura sottostante, l’escursione termica tra giorno e notte rendono il luogo ideale per la viticoltura.
L’assaggio del vino Dogliani “Cursalet” 2019 distrugge ogni mio pregiudizio nei confronti del Dolcetto, il vino che fermenta in botti di acciaio è prodotto da uve di vecchie viti tanto che il nonno di Elena, dai racconti di famiglia, le ricordava sin dalla giovane età. Parliamo quindi di vitigni di 90/100 anni…
Al naso, trovo un vino estremamente elegante: ciliegia, mora, fragola matura, violetta, sottobosco e cuoio. Il corpo, l’alcol a 14,5%, gli alti tannini, rendono il vino identitario.

Rimango sorpreso, ma l’aspetto che davvero mi stupisce è scoprire che in un territorio che fa del Dolcetto la propria bandiera, il papà di Elena, Giacolino Gillardi nel 1989, forse per l’influenza del nonno che emigrò per lavoro in Francia, decide di sperimentare la coltivazione di nuovi vitigni.
In questo momento oltre al Dolcetto e al Nebbiolo, l’azienda Gillardi coltiva vitigni internazionali come Grenache, Merlot, Cabernet Sauvignon e soprattutto Syrah, con cui l’azienda agricola ha intrapreso la produzione del vino Harys (Syrah scritto al contrario) dal 1995. Un vino 100% Syrah.
Assaggiando il “Fiore di Harys” 2020, un blend di 50% Syrah, 25% Merlot e 25% Cabernet Sauvignon, trovo un vino di forte carattere, spezie, erbe balsamiche, frutti rossi e neri. Tannini medio alti, il corpo è pieno con alcol a 14,5%. Un ottimo prodotto che può avvicinare il pubblico a un vitigno internazionale poco diffuso in Langa.


Sicuramente Giacolino ha avuto la lungimiranza e il coraggio di mantenere le radici salde nel territorio piemontese con la coltivazione del Dolcetto, ma ha saputo guardare avanti con estrema avanguardia nella scelta dell’introduzione di vitigni internazionali.

Bizzarro pensare che l’etimologia del termine DOGLIANI derivi dal Dio Giano, che secondo la leggenda, si recò in questi luoghi per assaggiare il vino locale (“dolia Jani” quindi “Dogliani”). Un Dio dai due volti, uno che guarda al passato e l’altro al futuro.