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Vite Parigine – Storie di sommelier italiani a Parigi

di Francesco Piccat

Introduzione alla rubrica

Parigi, capitale gastronomica e spirituale del vino, è anche la città dove molti talenti italiani hanno scelto di misurarsi con la tradizione e l’eccellenza francese. Nelle sale dei ristoranti stellati, dei Palaces più irraggiungibili e nei bistrot più raffinati una generazione di sommelier italiani di altissimo livello sta lasciando il segno, portando con sé la sensibilità mediterranea, la cultura del territorio e un nuovo modo di raccontare il vino.

La rubrica Les Italiens du Vin nasce per raccontare queste storie: professionisti che uniscono rigore tecnico e umanità, competenza e creatività, la reiterata tradizione e innovazione.Un viaggio tra esperienze, accenti e visioni che, insieme, stanno ridisegnando la mappa del vino contemporaneo nella capitale francese.

Il primo protagonista è Alberto Rabachin, vincitore FISAR 2024 e sommelier al ristorante Le Saint-Sébastien: un giovane interprete del vino che coniuga competenza, sensibilità e spirito internazionale.

Alberto Rabachin

“Non solo sommelier”: Alberto Rabachin e il gusto consapevole della nuova Parigi

Il vincitore FISAR 2024 racconta come il vino italiano si fa strada tra sostenibilità, autenticità e storytelling nella capitale francese

Essere sommelier italiano a Parigi è, per Alberto Rabachin, “una combinazione perfetta di privilegio e sfida”. Nato professionalmente in Italia e oggi volto della sommellerie parigina al ristorante Le Saint-Sébastien, Rabachin incarna una nuova generazione di professionisti che portano nel mondo del vino un linguaggio contemporaneo, consapevole e sempre più internazionale.

«A Parigi il gusto è quasi una religione», racconta. «Da italiano parto con un vantaggio culturale, ma quando parli di vino francese a un pubblico francese la sfida si fa interessante. L’unico modo per conquistarlo è con competenza e autenticità».

Clima, terroir e nuovi orizzonti

Il cambiamento climatico, osserva Rabachin, sta ridisegnando le mappe del vino europeo. «Oggi c’è meno spazio per vini pesanti e troppo concentrati: cerchiamo bottiglie vive, beverine, che ti facciano venire voglia di stapparne una seconda. Zone come la Savoia o alcune regioni tedesche stanno offrendo espressioni straordinarie».

Coerenza prima della certificazione

Sulla sostenibilità, il sommelier non ha dubbi: «Conta la coerenza del produttore, non l’etichetta verde. Se c’è rispetto per la terra e per le persone, la certificazione è solo una conseguenza».

Tra sala e social

Rabachin crede ancora nella magia della carta fisica e del dialogo diretto con il cliente, ma riconosce il ruolo dei social come nuovo spazio di racconto. «Mi piace mostrare la vita quotidiana del ristorante, le bottiglie che apriamo, i momenti dietro le quinte. I social non sostituiscono la sala: la completano».

I giovani e la leggerezza del gusto

Le nuove generazioni, dice, cercano vini sinceri e meno formali. «I ragazzi sono curiosi, aperti e pronti a lasciarsi guidare se sentono autenticità. Non associano più il grande vino alla grande occasione: per loro il lusso è un’esperienza, non un’etichetta».

Outsider e nuovi territori

Nella sua carta, accanto ai grandi classici, trovano spazio regioni “insolite”: «Mi emozionano sempre più la Spagna delle Isole Canarie, la Germania, l’Austria… e anche la Patagonia o l’Oregon, che oggi producono vini di livello altissimo».

Il lusso come esperienza

«Oggi si beve meno, ma meglio», spiega Rabachin. «Il lusso nel vino non è più solo il nome sull’etichetta: è la cura nella scelta, la storia dietro la bottiglia, l’esperienza che riesce a regalarti».

Tra tradizione e rivoluzione

Sui vini arancioni, Rabachin è chiaro: «Sono ormai una categoria a sé, non una moda. Hanno conquistato le nuove generazioni». È più cauto sui vini senza solfiti: «Meglio affidarsi a produttori esperti, che sanno lavorare bene anche con dosi minime». Le lattine e i bag-in-box? «Una rivoluzione ambientale interessante, ma lontana dal fine-dining che propongo io».

Storytelling e verità

Dietro ogni bottiglia c’è una storia, e per lui vale l’80% della scelta: «Con le parole giuste puoi cambiare la percezione di un vino — purché la storia sia vera. I francesi sono più scettici, ma una volta conquistati diventano fedelissimi».

Vino consapevole e tecnologia

Rabachin crede nel “bere consapevole”: vini equilibrati, gradazioni moderate e qualità costante. E guarda con curiosità alla tecnologia: «La blockchain sarà utile per la tracciabilità e il collezionismo, ma l’intelligenza artificiale potrà aiutarci già oggi nella gestione di stock, ordini e fornitori».

Ritratto di una nuova generazione

Con la sua sensibilità e la sua visione, Alberto Rabachin rappresenta la nuova generazione di sommelier italiani che stanno riscrivendo il ruolo del servizio e della comunicazione del vino: meno formalità, più cultura, autenticità e dialogo.

A Parigi, città dove il vino è culto, il suo approccio mediterraneo e umano è una boccata d’aria fresca: un invito a vivere il vino non come status, ma come esperienza condivisa.