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Cantine Florio: la “Cattedrale del Vino” siciliano famosa in tutto il mondo

di Mario Bonamici

Al pari di molte scoperte, divenute poi successi commerciali, il Marsala come lo conosciamo oggi, porta in dote 250 anni di gloriosa storia.
Con un un breve preambolo vorrei provare a sintetizzare (arduo compito) ciò che ho riscoperto e mi ha affascinato in maniera viscerale, della storia del Marsala, fino ad arrivare ai giorni nostri con la recente visita alle leggendarie Cantine Florio.
Il Marsala, celebre vino liquoroso siciliano, deve la sua fama all’inglese John Woodhouse che, nel 1773, durante una tempesta, fece scalo a Marsala. Durante il suo breve soggiorno, scoprì il Perpetuum, un vino locale pregiato riservato per occasioni speciali. Era il vino dei contadini, fatto con uve bianche (Catarratto, Inzolia, Catanese Bianca, e solo dai primi del ‘900 anche Grillo), che veniva conservato in un’unica botte, dalla quale si prelevavano di volta in volta i quantitativi che servivano, rabboccando la massa con del vino nuovo. In questo modo la botte non si vuotava mai, il vino era eterno: Perpetuo. 
Botti impilate per il metodo Solera risalenti al 1800
Annate diverse si mescolavano e con il tempo si arricchivano delle sostanze derivate dall’affinamento in legno. Come del resto avveniva anche in Spagna, nella zona di Jerez de la Frontera, già nel XVIII secolo dove si praticava il “metodo solera”.
La particolarità dei suoli e del clima, le vigne vecchie permettevano di ottenere uve perfettamente sane e con gradi alcolici elevati che, uniti ad una vinificazione con macerazione sulle bucce e pressature energiche, davano alla fine mosti e vini ricchi di estratti e polifenoli.
Woodhouse, innamoratosi di questo prodotto, decise di portarlo nelle sue terre e, per far si che non si rovinasse durante il trasporto “lo rinforzò” con del brandy. Pare, in realtà, che Woodhouse fosse alla ricerca di un vino liquoroso che potesse competere con i più costosi Sherry, Porto, Madeira e ben sapeva che a Marsala c’erano condizioni climatiche simili a Spagna e Portogallo, favorite dai venti di scirocco e maestrale. La sua abilità di commerciante lo portò a Marsala e iniziò ben presto la sua produzione di “Vino ad uso Madeira”, sfruttando qualche leva di marketing, nella vendita. 
Un vecchio alambicco ancora presente in cantina
In pochi iniziò una produzione intensiva di questo vino liquoroso, diventando rapidamente famosissimo nel Regno Unito, tant’è che, nei primi anni dell’800, anche altri mercanti inglesi, come Benjamin Ingham (assieme al nipote Joseph Whitaker) intrapresero la strada di Woodhouse nella produzione del Marsala. Il primo italiano a credere fortemente nel Marsala è stato Vincenzo Florio che, nel 1833, iniziò la sua avventura proprio nel baglio che ho avuto la fortuna di visitare, con una cantina di quarantaquattromila metri quadrati.
Fu quella la nascita del Marsala come lo conosciamo oggi, quando appunto Vincenzo Florio (1799-1868) decide di acquistare un terreno situato tra gli opifici di Woodhouse e degli Ingham-Withaker. 
Gli inizi furono complicati e con scarsi ricavi, ma grazie ad un progetto industriale preciso e costante, già intorno della metà del XIX secolo, il Marsala dei Florio cominciava a far breccia nel monopolio inglese. I profitti guadagnati venivano reinvestiti per espandere l’azienda con l’accesso diretto al mare, grandi magazzini lo stoccaggio e affinamento dei vini e un alambicco, per distillare l’acquavite necessaria alla produzione di Marsala.

Doveroso un breve inciso sulla famiglia Florio: una famiglia molto umile, di origini calabresi che, a fine ‘700, in seguito al terremoto che colpì la loro regione, emigrò a Palermo. Vincenzo fu il primo della famiglia a cominciare l’espansione nel mondo dell’imprenditoria, iniziando dalla farmacia in cui si vendeva un’ingente quantità di chinino (utile alla cura della malaria), dando successivamente vita allo stabilimento per la pesca dei tonni a Favignana. Tra la prima e la seconda generazione, con il figlio Ignazio, l’attività si espanse, acquistando l’isola di Favignana e brevettando la conservazione del tonno (e non solo) in latta, oltre ad aver fondato il Banco ed il Giornale di Sicilia. La terza generazione tra i due conflitti mondiali, ha visto come protagonisti Ignazio Junior e Vincenzo, i quali furono i finanziatori del Teatro Massimo di Palermo e creatori della corsa automobilistica Targa Florio. Questa fu l’ultima generazione dei Florio, sovrastata dai debiti e costretta a vendere molte delle proprietà, caratterizzata da una mole di sfortuna non indifferente, vista la scomparsa in tenera età di tre dei figli di Ignazio Junior. La Cantina Florio fu venduta nel 1924 al gruppo Cinzano, la quale, a sua volta, ha venduto metà della proprietà al gruppo ILLVA di Saronno, che è entrata in possesso dell’intera cantina nel 1998.
Nel corso del ventesimo secolo è stata creata la prima DOC, precisamente nel 1969, anche se il Consorzio si è formato nel 1963, riconoscendo così il Marsala come vino liquoroso a base di uve a bacca bianca: Grillo, Inzolia, Catarratto, Damaschino, ma anche con la possibilità di avere una percentuale di uve a bacca rossa quali Nerello Mascalese, Perricone, Nero d’Avola, da tutta la provincia di Trapani, tranne Alcamo, Pantelleria e le Egadi. 
Questo secolo è stato caratterizzato anche dall’avvento dei Marsala aromatizzati, a causa del declino di questo prodotto, vista la tassazione come liquore di lusso, facendo nascere così il “Mito del Marsala all’uovo”. Fortunatamente durante gli anni ’80 il disciplinare è stato modificato escludendo di fatto dalla DOC la produzione di Marsala aromatizzati.
Parlando di Florio, la filosofia è sempre stata quella di produrre un Marsala a base di 100% di uve Grillo, provenienti da conferitori delle zone costiere. La vendemmia avviene di norma entro la seconda settimana di settembre e le uve vengono pressate intere per poi essere torchiate con un vecchio torchio in modo da estrarre  tutta l’anima dell’acino. Seguono rimontaggi continui fino a marzo, poi svinatura e fortificazione del vino base con l’alcool etilico per ottenere così il Marsala Vergine.
Dalla vendemmia 2022 si è ottenuto il primo vino bianco fermo secco della storia Florio, “Vino”. Tredicimila bottiglie di Grillo in purezza che viene affinato in cemento e, senza essere filtrato, viene imbottigliato, arrivando a quindici gradi alcol naturalmente. Un vino che vuole essere il simbolo della base del Marsala, la base originale di quello che poi viene fortificato e fatto affinare per anni.
Le tipologie di Marsala sono ventinove, ben indicate graficamente in una piramide scoperta nelle visite successive. In estremo riassunto il Marsala si può caratterizzare per colore, grado zuccherino, tempo di invecchiamento, ma anche aggiunte e sentori che esprime.
Uno dei segreti principali è senza ombra di dubbio il tempo al pari di altre innumerevoli sfumature presenti in cantina. Una distesa immensa di tini, barrique e caratelli allocati in pavimento battuto in tufo, dove le temperature oscillano tra i sedici e i ventisei gradi e un’umidità dell’80%. Ad influenzare gli aromi ed il sapore del Marsala è la vicinanza o lontananza dal mare, nelle botti più vicine, a circa novanta metri, i sentori iodati e salmastri emergono  e dominano, ma alla fine della cantina, a circa duecento metri dalla linea del mare sono le note terziarie dai legni a guadagnare importanza. Curiosità: all’interno dei contenitori più distanti vengono inseriti solitamente i vini che hanno bisogno di un maggiore affinamento e le riserve. Nel lontano 1833 sotto alla pavimentazione della cantina sono stati scavati alcuni tunnel al fine di permettere all’acqua di entrare, in caso di alta marea, nei cunicoli, senza intaccare i legni in affinamento. Ancora oggi questa arriva fino a metà cantina, tenendo umido l’ambiente.

“Navata Garibaldi” distesa di botti e caratelli sul pavimento di tufo
Un altro fattore intimamente connesso al processo di affinamento del Marsala è il così detto “Angel’s Share” o “Quota dell’Angelo” cioè la quantità di Marsala che durante gli anni evapora. Non è una quota fissa, ma varia proporzionalmente in base a temperatura  e tempo di affinamento ma è inversamente proporzionale alla grandezza del contenitore. L’Angel’s Share è un indice organolettico che influenza in maniera determinante le caratteristiche Marsala: un grado minore porterà a Marsala più gentili e fruttati, mentre una percentuale maggiore darà vita a concentrazioni ed evoluzioni maggiori con Marsala più complessi e ricchi e profondi.
Le varie botti di legno di rovere francese o di slavonia, che vengono lasciate scolme di un massimo del 10% della loro capacità, possono essere single cask, con vini che riposano sempre nella stessa posizione e nel medesimo contenitore, oppure migranti, quando il liquido viene spostato in diverse zone della cantina per far guadagnare diversi sentori al prodotto finale. L’enologo, insieme al suo team, ci ha confessato che arriva a fare quasi cinquemila assaggi l’anno per ottenere il corretto blend finale dei propri Marsala e senza l’utilizzo del metodo Solera.
Piccolo inciso sulle tipologie di Marsala::
il Marsala Vergine, frutto di vino e alcol;
il Marsala Superiore “conciati” (frutto di vino, alcol, mosto non fermentato per donare zuccheri al Marsala e mosto cotto per donare il color ambra) mediante l’aggiunta della Mistella (SIFONE) ottenuta aggiungendo alcol al mosto per bloccarne la fermentazione e conservarne gli zuccheri dell’uva (da uve atte a dare Marsala) oppure col Mosto Cotto, ottenuto cuocendo il mosto (da uve atte a dare Marsala) a fuoco diretto per diverse ore.
Per ciò che concerne il grado zuccherino, si distingue in:
Secco (da 0 a 40 grammi di zucchero / litro);
Semisecco (da 41 a 100 grammi di zucchero / litro);
Dolce (con oltre 100 grammi di zucchero / litro).
Per quanto riguarda i Marsala Vergine:
il Vergine deve aver fatto minimo 5 anni di affinamento in rovere;
il Vergine Riserva almeno 10 anni di affinamento in rovere, la tipologia e dimensione del fusto e dalla posizione assunta negli in cantina determina le caratteristiche, si rende una volta più necessario, se non fondamentale, valutare le caratteristiche di un Marsala in base a tutti questi elementi.
Per i Marsala “conciati”:
il Marsala Superiore deve aver fatto minimo 2 anni di affinamento in rovere;
il Marsala Superiore Riserva deve essere affinato almeno 4 anni in rovere.
Alla luce di queste considerazioni e della notevole mole di informazioni, va da se considerare la grandiosità e la complessità di questo progetto “New Geography”, con quest’etichetta parlante che rende accessibile a chiunque la possibilità di comprendere la sapiente maestria dietro la creazione di ogni singola bottiglia di Marsala.
L’enologo delle Cantine Florio, Tommaso Maggio
L’enologo Tommaso Maggio, inizia giustamente la degustazione con “Vino” l’ultimo arrivato in casa Florio, vino bianco, senza alcuna denominazione, a base Grillo, presentato per la prima volta al Vinitaly nel 2023.
Fermentato e affinato in vasche di cemento, al naso si esprime da subito note agrumate, macchia mediterranea, un tocco di zagara (il fiore simbolo delle spose siciliane), la componente iodata incontra sbuffi citrini e fiori gialli di campo. Un vino che nonostante i suoi 15 gradi alcol, rivela un incredibile equilibrio, complici una bella spalla acida e una buona sapidità. 
Proseguiamo la degustazione col MARSALA VERGINE SUPERIORE 2006, ma prima di scrivere le mie impressioni sul vino, attraverso “l’etichetta narrante” proverò a rendere quanto più nitida possibile la fotografia di questo capolavoro enologico chiamato Marsala, spiegando in maniera sintetica ciò che viene riportato in retro etichetta.
2005 l’annata di vendemmia
2006 l’anno di fortificazione o “innamoramento”
17 gli anni di affinamento, con tutte le informazioni necessarie: affinato dal 22/11/2006 in un unico fusto (single task) il 26DAG nella Cantina Garibaldi
a 134mt. dal mare
32 la percentuale di “Angel’s Share”
In merito al vino: dal colore seducente ambrato, vibra sprigionando intensi sentori di frutta matura, scorza di agrumi candita e cereali fermentati. Nuance di note marine e ossidative. Il gusto è secco e netto, caldo e avvolgente, con richiami iodati.
MARSALA SEMISECCO SUPERIORE RISERVA 2009
Dalla scheda si evince subito che non siamo di fronte ad un “single task”. Il Vino ha compiuto un percorso nei 10 anni in caratelli e legni vissuti, per finire nel 2019 tino 317L da 18HL a ben 218 metri dal mare.
Anche qui si palesano da subito delle complesse note uva passa, miele, torrone e dattero. E’ un vino caldo e avvolgente, verticale e sapido.
MARSALA VERGINE RISERVA 2011 (in questo caso l’anno di vendemmia coincide con l’annata di fortificazione)
Dal colore ambrato intenso, spicca per il suo bouquet complesso, dove convergono le note di frutta secca e vaniglia, a tratti burroso e con una delicato sentore speziato che mi ricorda lo zafferano. In bocca entra pieno e caldo. Il tannino è incredibilmente setoso. Della batteria d’assaggio è quello che mi ha impressionato di più e che avrei assaggiato per ore aspettandone le evoluzioni.

MARSALA SEMISECCO SUPERIORE RISERVA 2015
Chiudiamo la degustazione con un Marsala dalle sfumature ancora diverse dalle bottiglie precedenti. Al naso si rivela da subito ricco e opulento, le note mielose si combinano con quelle di vaniglia e crema pasticciera. In bocca il sorso è pieno, a tratti grasso e persistente, complice il grado zuccherino decisamente più elevato.
La mia prima volta alle Cantine Florio è stata una vera e propria scoperta illuminante, guidato dai racconti dell’enologo Tommaso Maggio, sono riuscito a capire l’essenza del Marsala, catalogando, in maniera curiosa, ogni angolo, ogni botte o caratello fosse possibile annusare e registrare. Un percorso quasi mistico che ogni amante del vino dovrebbe compiere una volta nella vita. Il Marsala, adeguatamente conservato, è un vino eterno, che vibra e si evolve, guadagnando ogni anno in complessità e fascino. E’ stata la mia prima volta, non sarà l’ultima.

L’intera batteria degustata il 13 maggio 2025