Per chi non avesse troppa dimestichezza con l’inglese, il comfort food è quell’espressione che si riferisce a quelle pietanze che ci fanno stare bene. Cibi che ci ricordano l’infanzia, spesso grassi e ricolmi di olio o burro, ma che ci aiutano a stare meglio. La pizza è un classico comfort food, ma anche le lasagne, la parmigiana di melanzane o l’arrosto. Poi magari il giorno dopo i più salutisti possono volersene, ma intanto ricascheranno di nuovo nello stesso tranello.
Nell’epoca della rapida condivisione di idee in cui viviamo, sicuramente qualcuno ha già parlato di comfort wine. A pensarci bene, a partire dal momento in cui il vino per me non è stata solo più (scusate il piemontesismo, ma in italiano non renderebbe lo stesso) una passione, ho cercato di intellettualizzare il mio consumo del nettare di Bacco. Dunque, ho anche io i miei comfort wines che spaziano dai Barbera superiori ai Gigondas, senza dimenticare naturalmente le meraviglie della Borgogna.
Ne esiste uno che, a mio parere, è veramente speciale: il Sable de Camargue. Vini della sabbia, che crescono proprio sulla sabbia e che al palato sprigionano un’espressione sapida così intensa da non dimenticare facilmente. Saranno forse ormai le venti estati che passo in quella terra benedetta da Dio e dagli uomini e dai cavalli, ma quei sapori salmastri sono per me indelebili.
Nella grande distribuzione francese, e in parte di quella italiana, si commercia un Sable de Camargue, a mio avviso, di qualità più che accettabile. Parlo de “Les Embruns”, che in italiano tradurremmo con salsedine o, meglio, con quegli schizzi di mare che il vento provoca increspando le onde. Nome estremamente poetico, certo, ma che riesce a descrivere alla perfezione questo vino. La felicità a volte non è cara, e in questo caso parliamo di non più di 8 euro per una bottiglia. Al naso, come purtroppo quasi tutti i rosé che tendono al grigio, non entusiasma. La scheda tecnica parla di pesca e piccoli frutti rossi, e forse sono soprattutto i secondi ad avere la meglio.
Al palato però questo vino fa ritrovare la fede nelle cose fatte bene. Una vera e propria esplosione di sapidità avvolge il palato, e dura. Dura molto, anche 5 secondi, che per un vino di questa categoria sono davvero tanti.
Il vitigno dominante è il Grenache Gris e si sente alla perfezione. Per il mio personale giudizio, questo vitigno è quello che in quella terra riesce al meglio la sua missione di trasportare il sale della sabbia in cui cresce al palato del fortunato bevitore. Poi, questo è un vino che definirei totalmente umano ed agricolo. I vignaioli della cooperativa Sabledoc, che ora si chiama ufficialmente Vins de Sable de Camargue, sono tra i più gentili ed accoglienti che ho mai conosciuto. Nulla ethica sine esthetica e viceversa, si compra con il palato e con il cuore.
E, questa sera, non potevo comprare vino migliore. Smettiamola di comprare etichette e smettiamola di bistrattare i gris e i rosé, la figura del sommelier fintamente superbo (ma fondamentalmente ignorante), facciamola fare ad altri.
Francesco Piccat, nato a Saluzzo nel 1991. Vive e lavora a Parigi. È un esperto conoscitore e degustatore dei vini francesi. Ha ottenuto la menzione distinzione al WSET 3.