
di Sandra Ianni
La storia della gelatina affonda le radici nell’antichità ed è soprattutto nelle opere di gastronomia che emerge l’utilizzo alimentare sulle tavole aristocratiche. Dalla produzione di gelatine animali del passato alla gelatina vegetale di oggi che ne rivitalizza l’uso, sia nelle preparazioni di abili chef, sia in quelle già pronte da gustare.
L’utilizzo in gastronomia
Per indagare la storia della gelatina occorre riflettere che la voce gelatina è attestata in alcuni testi fiorentini sin dai primi anni del Trecento e nei ricettari federiciani. Si rintracciano ricette di gelatina animale, in due tra i più antichi testi gastronomici italiani: Liber de coquina e XII commensali. L’utilizzo è spesso finalizzato alla conservazione della pietanza e prevede l’aromatizzazione con spezie, aceto e vino.
Gli archeologi hanno trovato tracce di una prima forma di gelatina, estratta dalle ossa animali, già a partire dal VI millennio a.C. in Medio Oriente. Era usata come collante per monili e pelli. Nell’antico Egitto era utilizzata nella realizzazione delle pitture che decoravano le tombe dei faraoni. Il consumo alimentare è databile solo a partire dal II secolo d.C. e si rintraccia nelle preparazioni di zuppe. Per molti secoli venne considerata un bene di lusso, presente nei ricettari medievali, rinascimentali e barocchi delle classi aristocratiche.
Ricette
Attraverso, il grande cuoco e gastronomo medievale, Maestro Martino (XV secolo) si ha notizia della ricetta di gelatina di due o di tre colori e della gelatina in vaso di vetro con pesci interi in modo che sembrino vivi, preparazione dal singolare effetto suggestivo. Ecco di seguito alcune ricette di gelatine di Maestro Martino tratte dall’opera Liber de arte coquinaria (1450 circa):
“Per fare gelatina di pesce
Prendirai dell’acqua, del vino et dell’aceto, et perché più se conservi et duri gli mettirai poca acqua et molta spetiaria. Et perché sappi qual pesce è migliore et più substantioso da fare brodo per gelatina, ti dico che la tenca e ‘l luccio e quanto più sonno grassi et grossi tanto sonno meglio. Et nota che questo tale pesce non vole essere raschiato, ma solamente aperto, et vole essere ben fresco, cocendolo bene ad ascio in poco brodo tanto che solamente stia coperto, et questo perché ‘l brodo prenda più substantia. Et quando ti pare che sia il pesce ben cotto, cavalo fora et scorticalo tutto et mettilo da parte, ma la sua pelle remettirai ancora a bollire nel brodo per un pezo. Et quando ti parerà che habia bollito abastanza, colerai molto bene il ditto brodo servando tutto l’ordine e ‘l modo descripto nel capitolo de la gelatina de la carne, così in farla chiara et bella como in ogni altra cosa, ricordandoti che questa vole bavere et sentire più di spetie: et poterai in questo tal brodo mettere in gelatina di pesci marini cotti da parte et separati, item d’ogni altra rascion di pesce che più ti piacerà.
Per fare gelatina di carne o di pesce de duo o tre colori in un vaso
A farla bianca habi dell’aceto ben bianco overo dell’agresto bianco et vecchio et con esso mettirai doi tanti d’acqua. Et habi di piedi di castrone o di capretto scorticati et nettati molto bene precipue spitialmente tramezo le ogne, tagliandoli per traverso, cavandone l’ossi, cioè i fusi de le gambe, et lavate molto bene nell’acqua freda li mettirai a bollire in quella mescolanza di aceto et acqua sopra ditta, bollendola più ad ascio che sia possibile, agiognendoli con essa a bollire del zenzevero mondato molto bene et tagliato in pezoli, item de le grana paradisi rotte solamente; et quando li piedi ti pareranno cotti cavali fora et fa’ che ‘l brodo senza essi bolla ancora un pezo; poi habi apparecchiati dece bianchi d’ova fresche et più o mancho secundo la quantità che vole fare, observando tucto l’ordine in colare, chiarire et fare ogni altra cosa che è ditta di sopra nel capitolo de la gelatina di carne; et habi apparecchiati li toi piatti con capponi o pollastri o altro che vogli mettere in la gelatina, et sopra gli mettirai questa tale decottione politamente apparecchiata, riponendo i piatti in loco fresco perché s’abia a prendere et gelar meglio; et gelata molto bene per fare varii colori tagliarai fora un quarto di quello gelo che è nel piatto mettendolo al foco in un vaso, tanto che si struga et disfaccia, cioè che ritorni in brodo, et con il zafrano il poterai fare giallo, et quando serà rifredato ritornirai il ditto brodo al loco suo medesimo nel piattello, ma guarda bene bene che non sia caldo quando il rimetti; et racconciato questo politamente, come è preso e gelato, cava un altro quarto facendolo roscio con i corgnali in simil modo che è ditto del giallo; et successive piglirai l’altro quarto bianco et per farlo verde haverai de la foglia del grano o dell’orzo quando è in herba et del petrosillo pesti et macinati molto bene inseme farai colare in quella forma che è ditto dell’altri doi colori. Simelmente poterai fare pavonazo l’altro quarto bianco, havendo de le carote cotte sotto le brascie, et mondate, levarai dextramente col coltello quella parte di sopra la quale ha il colore pavonazo, et quella mettirai in fondo del sacco in nel quale si cola la decottione de la gelatina, et tante volte reiterando gli buttirai sopra quello brodo bianco riscaldato al foco che habia molto bene preso il ditto colore, havendo facto simelmente et observato questo modo in tutti gli altri colori sopra ditti, riconcirai etiamdio questo ultimo al suo loco como gli altri; et si più colori volessi fare starai in tuo arbitrio, che in questa manera ne
poterai fare quanto ti piace.”
Non mancano gelatine di pesce e di carne nell’Opera nova chiamata Epulario (1515) di Giovanni Rosselli. Inizialmente come agenti gelificanti si usavano carcasse di bovini e suini, cotenne e orecchie, zampe di animali da cortile, spine e interiora di pesce. Per secoli fu considerata una prelibatezza ed appannaggio esclusivo dei nobili. Si racconta che Enrico IV, di ritorno da un pellegrinaggio in Terra Santa, mandò il cuoco personale a Venezia per comprarne tre iarde. Alcune fonti letterarie di gastronomia medievale la riportano in preparazioni quali trote, o tinche, o frutti in gelatina. Considerate delle vere e proprie leccornie durante i banchetti e nei testi di cucina dell’epoca. Nei testi si rintraccia la diffusione della pratica di chiarificarla con gli albumi.
La gelatina in epoca moderna
Nel Medioevo l’aggiunta di zucchero alle gelatine è piuttosto limitata. Solo dal Settecento si diffonde la versione dolce ma è soprattutto in epoca vittoriana che la jelly raggiunge l’apice del successo e della diffusione. Le ricette di gelatina zuccherata e colorata possono rintracciarsi nel ricettario di Hannah Glasse del 1747. Numerosissimi gli stampi per la produzione di gelatine da quelli in legno di sicomoro agli elaborati stampi in metallo. La popolarità della gelatina nel XIX secolo si deve alla industrializzazione della produzione, stante la diffusione degli sciroppi di frutta e della gelatina in fogli, che ne consentirono la presenza su tutte le tavole borghesi, per la preparazione di aspic salati e gelatine dolci. La gelatina ottenuta da scarti animali, è nota anche con il nome di colla di pesce. “Colla” perché la gelatina veniva utilizzata inizialmente come collante, e “di pesce” perché la materia prima di base erano le vesciche natatorie dei pesci, in particolare di storione, e parti di cartilagine dei pesci.
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La gelatina oggi

Negli ultimi decenni si è diffusa, a partire dalle cucine vegetariane e da qualche chef di “cucina molecolare”, un gelificante vegetale noto con il nome di agar. 1 Si tratta di un estratto da vari tipi di alghe rosse (Phylum Rhodophyta), la cui particolarità è quella di essere insolubile a freddo ma di sciogliersi in acqua portata all’ebollizione. Ed è proprio da questo prodotto vegetale che il fascino della gelatina acquisisce un rinnovato interesse in gastronomia.

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- Viene molto utilizzato al posto della pectina per produrre confetture e marmellate. Poiché l’agar non ha bisogno della presenza di zucchero per gelificare, può essere utilizzato per preparare confetture, o composte, a ridotto contenuto di zucchero. Non avendo sapore e non interferendo con il gusto degli alimenti si presta alle più disparate sperimentazioni. Poiché il nostro apparato digerente riesce ad assorbire l’agar solo in piccolissima parte, occorre tener presente che il suo apporto calorico è decisamente trascurabile.

Sociologa, da circa trent’anni sommelier, ha conseguito nel 2009 il master in Cultura dell’alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche. Ha svolto attività di relatrice nei corsi di formazione di numerose associazioni di sommellerie e sin dal 2006 collabora con EPULAE Accademia Enogastronomica Internazionale, di cui è stata, tra l’altro, cofondatrice e vicepresidente nazionale. Ha rivestito il ruolo di Consigliere nazionale di Slow Food Italia e di collaboratrice della guida Osterie d’Italia, menrtre permane il suo contributo alla guida dei vini Slow Wine e l’attività di relatrice nei Master of Food®. Nel 2008 ha ideato l’originale manifestazione a carattere nazionale: Laghidivini, il festival dei vini prodotti sulle sponde dei laghi italiani, che si tiene annualmente sul lago di Bracciano (RM). Da circa dieci anni si occupa di gastronomia storica, con particolare riguardo al Ducato di Bracciano e ai vini medicinali. Nel 2018 ha pubblicarto il suo primo libro, un saggio sulla gastronomia e la cosmesi rinascimentale (Alla corte di donna Isabella De’Medici Orsini. Racconti e ricette-YCP) e ha dato vita al suo blog personale www.sandraianni.it. Tra le varie esperienze figurano numerosi interventi in convegni a carattere nazionale, membro di giuria in competizioni per bartender, concorsi enologici e in commissioni di valutazione di eventi di ricostruzione storica. Collabora, sin dal 2007 come articolista alla web magazine Food & Wine Epulae News per il quale dall’autunno scorso cura una rubrica dedicata alle piante eduli. Recentemente con la Web TV si.Channel.tv ha avviato un progetto di webinar sulla storia della gastronomia.