VINITALY 2022: LA RINASCITA DELLA FIERA VINICOLA PIÙ ATTESA POST PANDEMIA.

Dopo due anni di edizioni prima posticipate e poi annullate causa pandemia mondiale da Covid-19, Vinitaly riprende, finalmente, nelle consuete date di inizio aprile e in grande spolvero.

Oltre a quanto avevo pubblicato recentementea seguito delle informazioni ufficiali fornite dall’Ufficio Stampa di Fiera Verona, ecco un approfondimento su quello che è stato il mio Vinitaly 2022.

Tante le attese per questa prima edizione, possiamo dire, quasi “post pandemia”. Tante anche le preoccupazioni di organizzatori ed espositori: ci sarà affluenza di buyers, soprattutto di quelli stranieri? Secondo i dati ufficiali, Vinitaly 2022 ha registrato un record di incidenza di presenze straniere (28%). 88 mila operatori e 25mila gli stranieri accorsi nella città scaligera da ben 139 differenti paesi. L’edizione 54 di Vinitaly ha segnato il solco più profondo degli ultimi anni di una manifestazione sempre più orientata al business, con i wine lovers più concentrati nel palcoscenico cittadino di Vinitaly and the city con i suoi numerosi eventi ed iniziative fuori fiera, organizzati in tutta la città.

C’era tanta voglia di tornare in fiera dopo 3 anni. Critiche ed elogi, questura vs manifestanti è la storia più vecchia del mondo. Numeri e persone, investimenti fatti bene, fatti male, commenti di ogni sorta dal “Non ci torno più, non espongo più” al “C’era più gente lunedì, domenica un mortorio”, “Tutto benissimo, c’era voglia di esserci di nuovo”, ecc. Vero tutto e il contrario di tutto, ma di fatto Vinitaly c’è stato, con i suoi padiglioni affollati e quelli silenziosi. La fiera, lato organizzativo, ha mostrato innumerevoli difetti: male la segnaletica per raggiungere i padiglioni, male il non dettaglio delle – poche- mappe dislocate nell’area senza indicazione di cosa i padiglioni ospitassero. Poi il traffico congestionato, la disorganizzazione logistica per uscire dal quartiere fieristico, ecc. ma ognuno farà il proprio bilancio.

In ogni caso, i padiglioni erano satolli di espositori, da stand bellissimi a piccoli desk, a misura di produttore, tutto sempre molto curato e tutti con il sorriso sulle labbra. Tanta la voglia di far assaggiare le nuove annate, i nuovi vini, presentare i collaboratori, le etichette aggiornate, i blend rinfrescati. Qualsiasi cosa di nuovo o ritrovato ci fosse da mostrare, lo è stato fatto con la massima apertura e interesse a comunicare la propria voglia di esserci e guardare al futuro.

A tal proposito, il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani, commenta questa edizione: “Si è chiuso il Vinitaly che volevamo, e non era nulla scontato. Abbiamo dato un primo riscontro dopo una lunga attività di ascolto e condivisione con le aziende del settore, e dato vita a un piano che troverà, progressivamente, pieno regime entro il prossimo biennio. Segnare il record di incidenza di buyer esteri in un anno così difficile sul piano congiunturale e geopolitico è tutt’altro che banale ed evidenzia tutta la determinazione di Veronafiere nel perseguire i propri obiettivi”. Al netto delle inevitabili imperfezioni, è stata una fiera viva e vivace, leggera, densa ed intensa.

Moltissime le masterclass, approfondimenti ed eventi nell’evento organizzati da consorzi, aziende, partner, testate giornalistiche ecc. nelle quattro giornate di fiera. Focus mirati per accendere luci su tantissimi argomenti anche collaterali al vino, come abbinamenti con il food, la sostenibilità, la sensibilità verso ciò che sta accadendo nel mondo. Con l’iniziativa “Vini per la Pace” firmata dal Consorzio del Brunello di Montalcino, del Chianti Classico e di Bolgheri, guidati da Fabrizio Bindocci, Albiera Antinori e Giovanni Manetti, con il direttore Sotheby’s Italia, Filippo Lotti, che ha mandato sotto il martello oltre 30 grandi lotti, composti da autentici giganti chiusi in bottiglia. Tra le altre, magnum di Brunello di Montalcino Biondi Santi 2015, di Brunello Montalcino Ciacci Piccolomini d’Aragona 2015, di Tenuta San Guido Bolgheri Sassicaia 1999, una doppia magnum di Ornellaia 2011, e rarità come una bottiglia di Chianti Classico 1958 di Badia a Coltibuono ed un Chianti Classico 1969 di Monsanto), andati alla Caritas Diocesana di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino.

Giovanni Manetti-Albiera Antinori-Fabrizio Bindocci

Da evidenziare, tra gli innumerevoli assaggi di questa edizione, realtà più o meno raccontate, da territori più o meno famosi o conosciuti, come per esempio:

TOSCANA

LECCI E BROCCHI – Castelnuovo Berardegna (SI) In uno dei comuni di produzione del Chianti Classico, la piccola azienda a conduzione familiare, guidata dalla passione di

Sabrina e Giancarlo che, con il figlio Giovanni, hanno presentato in fiera la nuova versione di Sangiò – Rinascimento: sangiovese vinificato in bianco in una veste completamente rinnovata, sia in termini di scelta stilistica della bottiglia che di etichetta. Sangiò nasce da Sangiovese dalle vigne di Villa a Sesta, poste a 420 mt s.l.m.. Il mosto, ricavato dalla spremitura soffice delle uve raccolte al mattino molto presto, svolge fermentazione alcolica in acciaio a temperatura controllata per il 70% della massa, mentre il restante 30% fermenta in barrique nuove di media tostatura.  Questa lavorazione conferisce al vino uno spettro olfattivo intenso, complesso e fine. La struttura gustativa di Sangiò consente anche di vincere sfide in abbinamenti gastronomici sorprendenti come, ad esempio, accostato a una guancia di maiale caramellata.

CAMPANIA

TEMPA DI ZOE – Dal Cilento una piccola realtà con le idee chiare sul percorso seguito finora e sulla direzione in cui sta andando.  I vini, prodotti sotto la IGP Paestum, nascono da vigne, nel comune di Torchiara, di appena 2 ettari dapprima ad Aglianico e dai quali, fin dal 1997 viene prodotto “Zero”, a cui si sono aggiunti, nel 2015 e 2016, i nuovi impianti di Aglianico e di Fiano, arrivando così ad un totale di circa 5 ettari vitati.
“Zero”, ora vinificato presso Feudi, è rimasto quello di sempre: uve leggermente appassite, successiva fermentazione da lieviti spontanei e affinamento in legno.

Di rilievo anche XA Fiano 2019, rigorosamente in tiratura limitatissima e numerata, da una selezione delle migliori uve provenienti da tre

zone diverse del Cilento: mare, colline a ridosso e dall’entroterra cilentano. Sapidità da vendere, complessità elegante e potenziale di invecchiamento di tutto rispetto.

Piacevole e di pregio anche il rosato da Aglianico per la quasi totalità, con saldo di altre uve a bacca rossa. Un vino profumato dai colori dei frutti rossi piccoli e croccanti che richiama la beva continuamente.

ABRUZZO

CERULLI SPINOZZI – Dalle Colline Teramane, Cortalto: un Pecorino Colli Aprutini IGT che si schiera a pieno titolo tra gli autoctoni italiani dalla parte dei grandi bianchi con potenziale d’invecchiamento inaspettato. Da singola vigna nel comune di Canzano (TE), tra i 300 e i 400 metri s.l.m. su terreni calcarei argillosi, ricchi di scheletro. Dopo un primo travaso il vino riposa sulle sue fecce per almeno 8 mesi: è imbottigliato intorno al mese di maggio dell’anno successivo. La 2018, già in bottiglia da quasi 3 anni, gioca in equilibrio tra la freschezza profumata di agrumi e l’accenno di lievi note terziarie di miele e spezie leggere.

Con la soprendente 2015 si cambia registro: intensità e complessità olfattive di pietra bagnata, floreale essiccato e frutti gialli maturi, portano l’assaggio verso volume e struttura, non senza lasciare spazio alla copiosa acidità che tiene su la beva in lungo finale sapido e coerente.

LIGURIA

VITE IN RIVIERA – una rete di piccole imprese, vignaioli della riviera ligure di Ponente, si uniscono per dare voce a una zona vinicola di eccellenza.

Pigato e Vermentino di alta qualità, da rese bassissime e dalla cura maniacale dei produttori, la fanno da padrona. Le piantine di erbe aromatiche presenti allo stand, bastano a raccontare la freschezza e la verticalità ritrovata nei vini e la franchezza del carattere di questi vini “eroici”

LOMBARDIA

CONTADI CASTALDI – sono tornata in Franciacorta dopo tanto tempo e mi sono fermata da una che anni fa era tra le mie certezze. Dimensioni “extra large” della produzione e il nome di alto spicco non lasciano spazio alle imperfezioni, anzi.

Presentato in fiera in anteprima il nuovo Blanc de Blancs 2018 – in parti uguali di Pinot Bianco e Chardonnay, per 30 mesi di affinamento sui lieviti. Cremosità e nerbo, discretamente bilanciato il sorso nonostante la recente sboccatura di pochi mesi. Si stacca da tanti altri compagni di zona per l’assenza di quella pungente nota citrina che caratterizza ormai troppi Franciacorta. Bella bottiglia.

Ottimo lavoro anche per la versione ZERO 2017, non dosato e con 50% di Pinot Nero- che fa un piccolo passaggio in barrique usate per circa 2 mesi –   a saldo dello Chardonnay. Sboccatura 2021. Corpo voluminoso e sorso gustoso, slancio e pienezza di bocca non temono uno tutto pasto ricco e saporito.