Reportage dalla Georgia: storia, cibo e tanto vino.

Per qualunque appassionato di vino e viticoltura, la Georgia rappresenta il classico “must see”. Una terra antica e dall’identità culturale molto radicata, un popolo che, letteralmente, vive e respira vino e che si fregia di questa eredità in maniera fiera e unica.
Comprendere la geografia del vino georgiano in pochi giorni è un’impresa complicata, ma con l’aiuto e il supporto dei miei amici delle “Georgian Wine Guild” ho potuto avere un quadro un po’ più chiaro.
La Georgia occupa la parte centrale e orientale del Caucaso, il confine settentrionale corre lungo la Grande catena montuosa del Caucaso, mentre quello meridionale raggiunge le vette del Caucaso Minore. Tra le due catene montuose si trovano pianure che si estendono verso ovest per 330 km, fino a raggiungere la costa del Mar Nero. La Georgia confina a Nord con la Russia, a Est con l’Arzebaijan, a Sud con l’Armenia e con la Turchia a Sud-Est.  Conta ben undici macro-zone vitivinicole: Abkhazia, Samegrelo, Guria, Adjara, Imereti, Meskheti, Lechkhumi, Racha, Shida Kartli, Kvemo Kartli e Kakheti. Ciascuna ha caratteristiche pedoclimatiche differenti e vitigni di riferimento nei loro stili di vinificazione.

Più di 500 le varietà riconosciute, un patrimonio ampelografico immenso che, di generazione in generazione, i georgiani cercano costantemente di preservare e tramandare, mentre i vitigni usati per la vinificazione sono approssimativamente 30 – 40. Saperavi per i vini rossi e Rkatsiteli per i vini bianchi la fanno da padroni, comunemente vinificati in modo monovarietale ma spesso si possono trovare eccellenti esempi di Rkatsiteli in blend con Kakhuri-Mtsvane.

1° giorno 

Il mio aereo atterra a Tbilisi con qualche ora di ritardo, tutto nella norma, solo ore di sonno in meno nella mia prima giornata di visita. Nikoloz, per tutti Nika, viene a prendermi all’aeroporto. Un giovane e già stimato sommelier e cofondatore della Georgian Wine Guild, dalla voce profonda e dall’inglese impeccabile. 
L’eccitazione è tanta e dopo un breve riposo, esco a prendere possesso della città. Il mio hotel è situato alle spalle della sede del Parlamento, teatro di recenti scontri e manifestazioni abbastanza pesanti contro una “legge sugli agenti stranieri”. Al mio arrivo, tuttavia, la situazione era rientrata e la piazza di fronte al viale Shota Rustaveli si presentava sgombra e pacifica.
Faccio due passi nei dintorni per sgranchirmi le gambe in attesa del pranzo (la Georgia ha un fuso orario di 3+ rispetto all’Italia). L’aria è pulita, la città non mi appare rumorosa, sebbene molto trafficata.
Viene a prendermi il mio amico Alex, è un parlamentare e grazie a lui posso visitare l’interno del Palazzo, mi racconta ciò che è successo e a grandi linee, cerca di spiegarmi quale piega stia prendendo la politica in Georgia. I giornalisti affollano la sala stampa in attesa di qualche comunicato importante ma ci defiliamo poco dopo e usciamo a passeggiare nei dintorni, complice una giornata bellissima.
Ci fermiamo in un ristorante poco lontano e, sebbene sia lunedì, riusciamo a sederci per fare due chiacchiere. Ho avuto un primo contatto con molte delle pietanze tipiche della cucina georgiana, ricordo i jonjoli, un antipasto di germogli in salamoia; l’ajika, una pasta piccante per carne, pesce e verdure tipica di Abkhazia e Samegrelo;  i badrijani, involtini di melanzane con pasta di noci;  il sulguni, un formaggio fresco ottenuto da latte di mucca, capra o bufala, dal sapore acidulo, moderatamente salato e di consistenza elastica simile alla mozzarella; l’ajapsandali, stufato di melanzane, patate, peperoni e pomodori, il chashushuli un brasato di carne di agnello con funghi, cipolle e verdure; poi formaggi, intingoli di ogni specie e l’immancabile pane “puri” (una vera e propria droga per il palato e lo spirito) del quale parlerò più avanti.

In questo mio primo banchetto, entro in contatto con il rituale della Supra, sebbene adattato a un pranzo con due soli commensali. I georgiani amano riunirsi, banchettare, mangiare e bere insieme. La loro celebrazione, chiamata Supra, è una festa divenuta una vera e propria forma d’arte. Durante una Supra, ogni brindisi ha un significato e racconta una storia sull’ospitalità e sulla cultura georgiana. Spaziano tra vari argomenti, i più gettonati – o meglio, quelli che ricordo più nitidamente – sono la convivialità, la famiglia, i defunti, la discendenza, la Patria, le donne, la pace, la famiglia ospitante e tutti gli amici che non possono partecipare alla Supra. In pratica, un loop infinito di motivazioni e calici alzati al cielo.

Dopo tanto cibo e un paio di bottiglie di vino, optiamo per una passeggiata “defaticante” per poi atterrare, nel tardo pomeriggio, in un’enoteca/wine shop famosissima a Tbilisi, 8000Vintages,(www.8000vintages.ge) dove è possibile assaggiare di tutto a prezzi davvero strabilianti. Dopo un percorso degustazione di circa sette/otto assaggi, ci sediamo e ci viene servito un Rkatsiteli (Qvevri amber wine) del 2015, di marani Tchotiashvili (il cui proprietario avrò il piacere di conoscere successivamente) un vino magico che mi ha definitivamente dato il benvenuto in Georgia. 

Concludiamo la giornata al ristorante Zest, molto carino, la cui proprietaria porta avanti una proposta gastronomica molto interessante, meno tipica più fine dining, con in carta vini rigorosamente georgiani.

2° giorno 

Il secondo giorno, la mia visita in Georgia ha in programma un importante appuntamento. Insieme agli amici delle Georgia Wine Guild, Mariam e Sophio, ho avuto il piacere di incontrare il direttore generale della National Wine Agency, Mr. Levan Mekhuzla col quale abbiamo conversato su interessanti similitudini tra la Georgia e la Sardegna, entrambe accomunate da antichissime tradizioni vitivinicole e sulle opportunità di confronto che queste possono offrire.

Mi congedo da questo incontro istituzionale per visitare la cattedrale di Svetitskhoveli, una chiesa ortodossa di Mtskheta, conosciuta come il luogo in cui sarebbe stata sepolta la tunica di Cristo. La chiesa è stata per lungo tempo il principale edificio di culto del paese e rimane tuttora uno dei luoghi più venerati. Funge da sede dell’arcivescovo di Mtskheta e Tbilisi carica spettante al Catholicos Patriarca di tutta la Georgia.

L’attuale struttura fu costruita nel corso dell’XI secolo dall’architetto Arsakidze, sul sito in cui era stata edificata una prima chiesa nel IV secolo. È la seconda cattedrale più grande della Georgia, superata solo dalla Santissima cattedrale di Tbilisi, consacrata nel 2004. Nel 1994 è stata inclusa nella lista dei patrimoni dell’UNESCO insieme agli altri monumenti storici di Mtskheta.

In un piccolo ristorante poco distante, ho assaggiato un vino un po’ fuori dal solito schema Saperavi/Rkatsiteli. Un bianco vinificato “all’europea” (i georgiani chiamano così le vinificazioni in acciaio, o comunque non in anfora) il Tvishi del marani Mildiani.

 

Un vino bianco semi-dolce prodotto con le uve autoctone Tsolikauri, provenienti dalla regione di Racha-Lechkhumi. Il Tsolikauri è un’uva bianca coltivata nella Georgia occidentale con la quale si producono vini di medio corpo con una discreta mineralità. Lo ricordo piacevolmente ricco e intenso al naso, con aromi dolci di frutta bianca matura (soprattutto pesche tabacchiera e pere William) e fiori di campo. Al palato morbido e rotondo, con una deliziosa dolcezza naturale, un calore alcolico armoniosamente bilanciato e dalla bella acidità. L’ho accompagnato con dei formaggi freschi, ma ho decisamente apprezzato il contrasto con Khinkali 

 

(una sorta di raviolo simile ai Baozi o dumpling cinesi), ripieni di carne di maiale o agnello, cipolle, peperoncino, sale e cumino, prezzemolo e coriandolo. I khinkali, oltre che deliziosi, sono anche un’esperienza culinaria, bisogna imparare a mangiarli se si vuole gustare tutto il loro sapore. In Georgia si usano le mani poiché se si utilizzassero coltello e forchetta, il brodo contenuto all’interno uscirebbe impedendo di apprezzarlo fino in fondo. La parte della pasta arrotolata si afferra con le dita e, prima di morderla, si sorbisce il brodo contenuto all’interno della sfoglia per poi mangiare il resto, pena l’ustione.

Rientrati a Tbilisi, nella sede della Georgian Wine Guild, ho conosciuto molti dei produttori associati. Ho avuto il grande piacere di presentare loro il progetto che si è svolto il 5/6 maggio a Iglesias in Sardegna, che ha evidenziato le affinità tra la storia della viticoltura georgiana e quella sarda. L’entusiasmo e la curiosità per l’evento “Rassegna internazionali vitigni autoctoni e territoriali” hanno superato le mie aspettative. Molte le domande, tanti i sorrisi e la voglia di poter comunicare nel migliore dei modi ciò che il vino rappresenta per loro. 

3° giorno 

Il mio giro in Georgia prosegue in compagnia di Alex. Una visita molto interessante è stata quella presso la sua azienda vinicola, Chateau Bruale (www.bruale.com

La sua storia inizia oltre dieci anni fa, quando incontra il francese Bruno Giroud. I due condividono l’amore e la passione per la natura, l’agricoltura e, soprattutto, per il vino. Questa passione li porta a investire nella regione vinicola di Kakheti, più precisamente nel villaggio di Tkhilistkaro, nel comune di Kvareli. Attualmente, la tenuta è in fase di conversione per diventare completamente biologica. Degli otto ettari di terreno occupati dallo Chateau Bruale, cinque sono coltivati a Rkatsiteli-Mtsvane, due a Saperavi e l’ettaro rimanente è utilizzato come gruppo di prova per un gran numero di varietà di uve autoctone da portinnesto che Alex, pazientemente, sta cercando di recuperare.

Chateau Bruale ha tutto ciò che si può chiedere per un’esperienza in Georgia: sette camere, una cantina, una sala di degustazione e una piscina all’aperto. Il tutto nella splendida cornice della regione di Kakheti, luogo perfetto per rilassarsi e distendersi . Ho avuto il privilegio di assaggiare il vino direttamente dall’anfora appena aperta, mesciuto con il classico “orshimo” georgiano. 

Dopo un pranzo pantagruelico, con mille Supra e alcuni bicchieri di Chacha (una grappa di vinaccia dal colore chiaro e dal sapore molto forte, preparata con l’utilizzo di anfore interrate e alambicchi discontinui (anch’essa Patrimonio dell’UNESCO), abbiamo terminato la visita nella tenuta passeggiando tra i vigneti e gli alberi da frutto, prima di rimetterci in viaggio.

Sulla strada di rientro per Tbilisi, facciamo sosta nel villaggio di Vardisubani, nel Kakheti. Lì conosco Zaza Kbilashvili, un produttore di Qvevri di quarta generazione famosissimo in tutta la Georgia: la sua famiglia è una delle sole otto in Georgia specializzate nella produzione di questi recipienti unici per la vinificazione. 

Piccolo inciso: nella vinificazione in anfora la più famosa e diffusa è l’anfora Qvevri ma in alcune regioni si utilizzano anfore più piccole, i Churidalla forma leggermente più affusolata. Sono pochi i maestri che le producono, a tutt’oggi il processo è abbastanza laborioso, fermo e rispettoso della tradizione. 
I Qvevri sono il primo prodotto non alimentare IGP (ma non è questo l’unico importante traguardo per la Georgia) il cui antico metodo di vinificazione in anfora ha ottenuto, nel 2013, lo status di Patrimonio culturale immateriale dall’UNESCO.  Per i georgiani, i Qvevri, sono profondamente evocativi, vengono realizzati con il materiale estratto dalla terra che la circonda, la creazione del vino al loro interno è controllata dalla terra in cui sono sepolti. È un modo unico di tradurre l’ambiente nel vino finito, così come sono unici i suggestivi vini ambrati prodotti al loro interno. 
Zaza si procura l’argilla dalla foresta circostante con scavatrici rudimentali, la sabbia dal terreno di un vicino, la cera dagli apicoltori locali, il legno e i mattoni per il forno provengono dalla sua stessa terra. Nel suo basso laboratorio, i Qvevri semilavorati hanno l’odore terroso dell’argilla fresca, la fresca malleabilità degli esseri viventi.  Ogni due giorni aggiunge un nuovo strato, il tempo necessario perché la base del Qvevri si asciughi e sostenga il peso degli strati crescenti, continuando poi a modellare con le mani l’argilla vecchia e quella nuova finché il recipiente di capienza variabile (da 500 sino a 3000 litri, ma mediamente 1500 litri) non sia pronto per essere cotto. 

A questo punto, occorrono sei persone per trasportarlo al forno (capace di ospitare un massimo di otto Qvevri). Zaza l’ha costruito lasciando alcuni spazi per la ventilazione e per alimentare il fuoco. Il forno brucia, raggiungendo molto gradualmente la temperatura di circa 1200° C, per una settimana e impiega circa quattro giorni per raffreddarsi.

Una volta raffreddato, l’interno del Qvevri viene rivestito con cera d’api per sigillare al meglio eventuali micro-imperfezioni ed evitare che la porosità delle pareti interne possano poi risultare affette dal vino. Zaza non ha problemi nelle commesse, le sue anfore vengono richieste da tutta Europa. La domanda supera facilmente l’offerta. 

Volendo fare un rapido excursus su come avviene la vinificazione tradizionale in Georgia, nei marani (cantine) le uve vengono versate dentro le navazze, vecchi recipienti di legno, della capacità di due/tre tonnellate, ricavati da un grosso tronco d’albero scavato all’interno, detti satsnakeli

Prima della pigiatura, sul fondo della navazza si dispone una sorta di griglia in vimini intrecciati, sulla quale, spesso, vengono apposte delle foglie di felce per lasciare fluire il mosto. La pigiatrice è collocata sulla navazza. Il mosto è poi raccolto nei Qvevri infossati nel terreno fino al collo. Al mosto sono aggiunte le vinacce non diraspate. Durante la fermentazione, della durata media di sette/dieci giorni, vengono praticate regolari follature e, a fermentazione ultimata, dopo un’ultima energica follatura, il Qvevri viene chiuso ermeticamente con una grossa pietra, ricoperta con uno strato di terra. I produttori georgiani sostengono che, mentre per le uve nere è necessario separare il vino al termine della fermentazione o ridurne in maniera importante la quantità affinché non risulti irrimediabilmente astringente, di contro, la macerazione prolungata migliora la qualità di quello bianco.

4° giorno 

La mia visita prosegue in compagnia di Mariam, Sophio e Nika, nella sede della loro società, nella quale prendo parte alla prima batteria di assaggio. La curiosità è tanta e dopo qualche vino – in particolare grazie a Nika, mio compagno di degustazione – riesco a tarare il mio naso e il mio palato per procedere spedito alla scoperta di vini sorprendenti. Ad attendermi una batteria di 41 campioni di vino, tra bianchi secchi, amber wines vinificati in Qvevri, qualche rosato e per il resto vini da uve Saperavi ma anche uve Shavkapito, Budeshuri, Aladasturi, Danakharuli e Bolnisi. Alcuni mi sono rimasti molto impressi, ad esempio un metodo classico del marani Urnali ottenuto da un blend di tre vitigni, Tsitska, Kundza e Tsolikauri (ben 84 mesi sui lieviti)

La serata è particolarmente bella, il cielo è limpido e la temperatura gradevolmente mite. Passiamo per la città vecchia “Old Tbilisi”. Saliamo sino al Parco Mtatsminda dove è possibile godere di una vista bellissima di tutta la città. La funicolare è lunga 500m, fu ultimata nel 1938 a opera degli ingegneri Kurdiani, e Valabuev. Dopo le foto di rito, ci accomodiamo nella terrazza del ristorante Funicular e mi viene servito un Khachapuri”.

 

Qualcuno lo definisce l’antenato della pizza ma il khachapuri è letteralmente pane al formaggio.  Una specialità dalle mille varianti appartenente alla cultura gastronomica della Georgia e non solo. Il khachapuri adjaruli è sicuramente quello dalla forma più originale, una barchetta di pane ripiena di formaggi con al centro un uovo dal cuore morbido. Delizioso!

5° giorno 

Nell’unico giorno di pioggia di tutta la settimana, il mio programma subisce una variazione e in compagnia di Nika, facciamo una gita fuori porta a 15 km dal centro di Tbilisi, al Bioli Welness Resort. Una struttura immersa nel verde della montagna a circa 1200 slm, nel quale oltre a dei luxury cottages a basso impatto ambientale, si trova una spaziosa terrazza dalla quale si può godere di una vista panoramica mozzafiato. Una mattinata di relax e chiacchiere e vino. 

Nika è molto preparato e nel suo futuro, mi racconta, ci sono dei progetti decisamente ambiziosi, tra cui l’apertura di un raffinatissimo ristorante chiamato “Reserve”, situato di fronte all’hotel e inaugurato alla fine di aprile, nel quale Nika ricopre il ruolo di head sommelier.

Torniamo in hotel e ci prepariamo per la seconda sessione di degustazione. Questa volta i vini saranno 51. L’ultima parte della batteria d’assaggio (circa 26 vini) è dedicata ai vini rossi, per lo più Saperavi. Come risaputo, avendo una carica antocianica tra le più importanti al mondo, questi vini lasceranno un quasi indelebile ricordo sul mio sorriso e su quello dei miei compagni di assaggio. 

6° giorno

Nell’ultimo giorno della mia visita in Georgia, gli amici della Georgian Wine Guild organizzano una visita con pranzo presso lo Chateau Zegaani ( www.chateau-zegaani.com )Come si usa dire “save the best for last” e così è stato. Inizio a raccontare qualcosa su questo bellissima realtà. Un luogo magico con una storia che parte da molto lontano e che viene unanimemente riconosciuta come il crocevia della viticoltura in Georgia.
Nel 1783, il re Erekle II di Kartli-Kakheti, una regione nel sud-est dell’odierna Georgia, donò al principe Garsevan Chavchavadze delle proprietà vinicole nel Kakheti per i servizi resi al regno durante la firma del Trattato di Georgievsk. Tra queste terre c’erano anche i vigneti di Zegaani. Nel 1811, all’età di 26 anni, Alexander Chavchavadze, figlio di Garsevan, ereditò la tenuta alla morte del padre. Dal 1812 in poi, Alexander partecipò attivamente alla guerra civile e alle campagne estere, salendo alla ribalta come aiutante di campo di Barclay de Tolly durante l’assedio di Parigi. Durante questo periodo, in qualità di figlioccio di Caterina la Grande, Alexander ebbe l’opportunità di familiarizzare con lo stile di vita, l’architettura, la cultura e le tradizioni della Germania e della Francia, nonché con le complessità della viticoltura e della vinificazione europee, molte delle quali furono poi applicate in Georgia.
Nel 1820 fu completata la costruzione degli impianti di vinificazione di Alexander Chavchavadze a Kakheti, come annotato dal console francese a Tbilisi, in Georgia, Jacques François Gamba, nei suoi documenti personali. Egli ha anche notato le notevoli somiglianze tra la tenuta e i giardini del principe Chavchavadze e gli edifici europei del XIX secolo.
Chateau Zegaani  è proprietà privata della famiglia Tatulashvili dal 1998, questa tenuta vinicola del XIX secolo è un tesoro unico in Georgia e utilizza le stesse tecniche impiegate da migliaia di anni. I processi di vinificazione, invecchiamento e maturazione si svolgono tutti nelle stesse cantine, originariamente costruite dal principe Alexander Garsevanovich Chavchavadze.
Dal 2005 al 2010, la famiglia Tatulashvili si è dedicata alla ristrutturazione dello Chateau, comprendendo l’importanza di preservarne il significato storico per l’enologia georgiana. Dopo cinque anni di duro lavoro, sono riusciti a riportare la tenuta alle sue condizioni originali, sia dal punto di vista visivo che architettonico. Nel 2011, Chateau Zegaani ha vendemmiato la sua prima annata dal 1998 e il vino prodotto è stato fonte di enorme orgoglio e successo per la famiglia e per il Paese.

I vigneti si trovano nella microregione di Mukuzani, nota per le condizioni climatiche e la composizione del suolo ideali.
Nel 2022, la famiglia Tatulashvili ha fatto in modo che venisse creata una nuova microzona per la coltivazione del vino, denominata “Zegaani”, che si estende per 50 ettari di terreno.  I vigneti sono situati sulla riva destra della valle di Alazani, sul versante nord-orientale della dorsale Tsiv-Gombori, a un’altitudine di 520-550 msl del mare. Il pendio dolcemente ondulato con una catena montuosa a nord, impedisce il ristagno. La ventilazione naturale è favorita anche dai burroni Chermi e Papri a nord-est della valle. Il terreno è una combinazione di terreni alluvionali-proluviali, carbonatici, calcarei leggeri e limo ghiaioso, che fornisce le condizioni ideali per la coltivazione del vitigno autoctono georgiano Saperavi

A Chateau Zegaani, l’approccio alla viticoltura si basa sulla comprensione della natura e dei suoi processi, lo abbracciano e producono vino solo nelle annate che soddisfano gli standard di vino naturale di alta qualità, piuttosto che ogni anno. La loro è una missione che ha un unico scopo, produrre annate di assoluta eccellenza. Laddove viene ravvisata una parvenza di “normalità” rinunciano all’imbottigliamento, infatti dal 2011 al 2020 sono state prodotte solo quattro annate. Nel 2011, 2013, 2017 e 2020.

Durante il tour, ho avuto il piacere di poter conversare in italiano con la direttrice dell’azienda, Lika Zubashvili, con il suo aiuto riesco ad andare a fondo e a capire meglio molti passaggi durante la mia visita. La tenuta è interamente certificata biologica, non solo vite, ma anche frutta, miele, ortaggi, destinati all’autoconsumo per i ristoranti facenti parte del gruppo imprenditoriale del quale la famiglia Tatulashvili è a capo. David e sua moglie Natalia, sono delle persone molto affabili ed eccellenti padroni di casa, mi mostrano l’interno dell’azienda con orgoglio. Alla sala da pranzo principale si accede attraverso un lungo corridoio, alle cui pareti si può ammirare una prestigiosa collezione di dipinti del brillante artista georgiano Dimitri Khakhutashvili, oltre a una considerevole quantità di reperti storici legati al vino 

Scendiamo nella parte più profonda dell’azienda dove il vino riposa nei Qvevri, capisco, attraverso Lika, che David, dopo un periodo di affiancamento e consulenza con prestigiosi enologi, da autodidatta, ha imparato a fare il suo vino. 

Due le tipologie: 

Lo Zegaani Red, che subisce un processo di fermentazione di due settimane con macerazione delle bucce nel Qvevri e matura per trenta mesi nel Qvevri prima di invecchiare per sei mesi in bottiglia.


Lo Zegaani Mukuzani, che subisce lo stesso processo di fermentazione di due settimane con macerazione delle bucce nel Qvevri ma poi matura per sei mesi nel Qvevri, quindi, affina per quaranta mesi in botti di rovere e altri sei mesi in bottiglia.

Terminato il tour, arriva il momento del pranzo. Mentre i vini respirano nel decanter, vengo magicamente rapito dalla preparazione del pane “Puri” ottenuto da un impasto di acqua, farina, sale, lievito (a volte zucchero), il quale viene cotto nel tradizionale forno tronco-conico argilla chiamato tone. In particolare, il pane di forma allungata con le punte, chiamato shotis puri è molto popolare e di solito viene servito a ogni pasto. Trascorso il tempo necessario per la lievitazione (poco meno di due ore), il puri viene ripartito in panetti a loro volta spianati a mano o con l’ausilio di un piccolo mattarello e infine cotto sulle pareti del forno per circa quindici minuti. La brace che alimenta il calore del forno, in questo caso, era ottenuta dallo sfalcio secco della vite. Il risultato è un pane squisito che crea dipendenza e col quale, al pari dei giri di Supra, è possibile innescare un loop infinito di quella che noi chiamiamo “scarpetta”, nei numerosi e deliziosi intingoli della cucina georgiana. 

La pace e la quiete del panorama sono impagabili. Finiamo di degustare il vino e ci congediamo da David e Natalia, con l’augurio di rincontrarci. Porto via con me due bottiglie del loro Saperavi e mi sento fortunato come un bambino il giorno di Natale.

Si rientra su Tbilisi, concludiamo la serata in compagnia di Alex, Mariam e Sophio nel ristorante Zest. La serata è fantastica, camminiamo sino all’hotel tra le vie della città vecchia.

Concludo cercando di ringraziare e rendere omaggio alla Georgian Wine Guild (www.topgerogian.wine ) Quest’azienda è impegnata in attività educative della viticoltura e del vino georgiano, promuove e motiva i produttori orientandoli alla qualità. Un’azione divulgativa importante e incessante, che comprende un monitoraggio costante delle produzioni degli associati affinché gli standard qualitativi siano sempre più alti. La loro missione è quella di poter presentare il miglior prodotto georgiano possibile ai mercati internazionali e stanno realizzando il loro obiettivo.

I loro rappresentanti, Mariam “Marika” Khomasuritze, Membro della Commissione Statale di Degustazione, docente presso il Dipartimento di Enologia dell’Università di Tbilisi e stimatissima enologa, responsabile dei programmi didattici di viticoltura ed enologia. Sophio “Sofi” Tamazashvili, instancabile direttrice, vero e proprio asse portante dell’organizzazione e, infine, Nikoloz “Nika” Agdgomelashvili, un talentuoso sommelier che, con pazienza e competenza, mi ha fatto scoprire e apprezzare tanti vini. Insieme mi hanno coccolato e fatto sentire a casa. In Georgia, al pari della Sardegna, l’ospite è sacro e anche se la mia è stata solo una veloce prima volta in questo bellissimo Paese, sono certo non sarà l’ultima.

Gamarjoba (ciao)

Gagimarjos (siate vittoriosi)