
di Mario Liberto
Nel cuore della Sicilia, tra tradizione, mito e sapienza contadina, nasce una prelibatezza antica: ‘a cudduredda c’u savucu, una focaccina di pane profumata ai fiori di sambuco, tipica di Castronovo di Sicilia. Questa preparazione, semplice e al tempo stesso ricca di significati, affonda le sue radici nella storia millenaria del Mediterraneo.
Succede spesso a maggio: passeggiando per i vicoli di Castronovo o lungo i sentieri della campagna, all’improvviso si è avvolti da un profumo dolce e penetrante. Sono i fiori di sambuco, piccoli e candidi, che annunciano l’arrivo della nuova stagione. È proprio in questo momento dell’anno che nasce la cudduredda, impastata con amore e memoria, e offerta come dono semplice e sacro. Le fautrici di questa prelibatezza castronovese sono le signore locali abili a mantenere segreti di questo sposalizio gastronomico.
Il termine “cuddura” – dal greco antico kollýra (κολλύρα), indicava una pagnotta tondeggiante con un buco al centro, di consistenza soffice e nel contempo gustosa – era parte delle offerte rituali durante i culti eleusini dedicati a Demetra, dea della fertilità e del risveglio primaverile. Queste pratiche furono portate in Sicilia dal sacerdote Thelines e si radicarono nel patrimonio culturale locale. In siciliano, la parola si è trasformata in cuddura, e al diminutivo cudduredda, oggi presente in diverse varianti in tutta la Sicilia e nel Sud Italia.
A rendere unica la cudduredda di Castronovo è l’incontro con il sambuco (Sambucus nigra), pianta selvatica della famiglia delle Caprifoliaceae, dai fiori bianchi e profumati. I fiori di sambuco – ‘u savucu, nel dialetto locale – vengono raccolti nel mese di maggio, quando sprigionano il loro profumo più intenso, e incorporati direttamente nell’impasto della focaccia, conferendole un aroma delicato e inconfondibile.
Oltre al sapore, il sambuco arricchisce la cudduredda anche sul piano salutistico: ricco di flavonoidi, è noto per le sue proprietà antinfiammatorie, diaforetiche e diuretiche, ed è ampiamente utilizzato nella medicina tradizionale.
La presenza del sambuco nella panificazione ha origini antiche, probabilmente risalenti alla presenza della comunità ebraica presente a Castronovo di Sicilia. In particolare, nell’antica Crasto, dove queste culture si sono intrecciate, la cudduredda c’u savucu rappresenta una sintesi tra riti primaverili, saperi popolari e influenze religiose. Questa specialità è anche presente nelle comunità greco-albanesi (arbëreshë) di Sicilia, tra le quali a Palazzo Adriano.
Il sambuco è circondato da un’aura di magia e rispetto. In Germania, si raccontava che nel suo tronco vivesse la fata Holda, protettrice dei campi e degli animali. Piantarlo vicino alle case, monasteri e fortezze serviva a tenere lontani serpenti e sventure. Nell’Europa mediterranea, compresa la Sicilia, si credeva che i suoi fiori raccolti alla vigilia di San Giovanni acquisissero virtù protettive se lasciati tutta la notte all’aperto per ricevere la benedizione del santo.
Altre leggende, più cupe, narrano che il legno di sambuco fu usato per costruire parte della croce di Cristo e che Giuda si impiccò proprio a un albero di sambuco.
Sin dai tempi dei Romani – Apicio ne tramanda una ricetta – i frutti e i fiori del sambuco venivano utilizzati in cucina: per aromatizzare il vino, l’aceto, o nella preparazione del Akté, una bevanda curativa descritta da Teofrasto. Nonostante la modernità abbia ridotto l’uso di questa pianta, in ambito contadino il sambuco ha continuato a essere raccolto e valorizzato in infusi, tisane, sciroppi, dolci, fritti e pani.
La cudduredda c’u savucu, in molti paesi il termine è utilizzato al maschile cuddureddu, è anche conosciuta altrove come “pane di maggio” o “pane co’ sciuri”, ed è oggi uno dei simboli della primavera gastronomica siciliana, un connubio perfetto tra natura, storia e devozione.

Agronomo, storico dell’enogastronomia mediterranea, scrittore e giornalista. E’ stato presidente regionale dell’ARGA, Associazione Regionale dei Giornalisti esperti in agricoltura, ambiente, agroalimentare, turismo rurale, pesca e territorio, organo di specializzazione della Federazione Nazionale della Stampa, scrive per diverse testate giornalistiche nazionali. E’ presidente regionale e vicepresidente nazionale dell’Accademia Internazionale Epulae, segretario generale della Federazione Internazionale dei Giornalisti e Scrittori di Turismo (Flai – Fijet). Ha insegnato Enogastronomia, Vitivinicoltura, Agroalimentare e Turismo Rurale (Terza area) presso gli Istituti Professionali Alberghieri ed Agrari: Paolo Borsellino di Palermo, Ugo Mursia, Sen. G. di Molinari di Sciacca e Calogero Don Vincenti di Bisacquino, nonché in diversi corsi di formazione di Enti Professionali. E’ stato componente come giurato di diverse gare enogastronomiche a carattere nazionale.
Ha al suo attivo diverse pubblicazioni come: I prodotti dell’Isola del sole, Sicilia Rurale, Guida all’Agriturismo siciliano, edizione 2007 e 2008, La Sicilia a cavallo, Sicilia the Excelland, Guida alle agevolazioni contributive e creditizie in agricoltura, per conto della Regione Siciliana; La Riserva Naturale Orientata dei Monti di Palazzo Adriano e Valle del Sosio; La Riserva Naturale Orientata di Monte Carcaci; La Riserva Naturale Orientata di Monte Genuardo e Santa Maria del Bosco, per l’Istituto Poligrafico Europeo; Il Parco dei Monti Sicani, Edizione Sikana Progetti d’Arte; I pani votivi di S. Giuseppe a Chiusa Sclafani e la mostra etnografica di Palermo (1891/92), Ispe Archimede; Atlante del pane di Sicilia, per il Consorzio “Gian Pietro Ballatore”; Cento e più idee per valorizzare le aree rurali, Ed. Ispe Archimede; Cuscus: Storia, cultura e gastronomia, Casa Editrice AGRA Roma; I frutti di Sicilia nell’opera di Gianbecchina con testi di Mario Liberto, Andrea Camilleri, Maria Luisa Spezzani, per il Consorzio Agrario di Palermo; Legumi: gioielli d’Italia, Casa Editrice AGRA Roma; La cucina dei Monsù nel Regno delle Due Sicilie, Ed. Kalòs; Couscous Koinè culturale dei popoli, Ed. Kalòs; Legumi sostenibili: buoni per buongustai, vegetariani e vegani.