ARDAULI E LA SUA GENTE
Pardu, S’Ortau e Sos Musuleos
Questo libro vuole rendere omaggio alla caparbietà delle genti che abitarono questo paese, al ricco e invidiabile patrimonio archeologico e naturalistico che lo caratterizzano, alle tradizioni e ai comportamenti, bene prezioso e comune dell’intero Barigadu.
Il paesaggio di Ardauli, piccolo comune del Barigadu (regione storico-geografica della Sardegna centrale), è dominato da dolci colline in cui prosperano l’oliveto e il vigneto lavorati ancora con metodi tradizionali; in queste vigne, in cui la vite è allevata ad alberello e l’aratura avviene ancora con l’asino, si coltivano decine di uve differenti: Bovale Sardo, Bovale di Spagna, Moscatello, Semidano, Vermentino, Nasco, Barbera Sarda, ecc.
Il vino bianco, ottenuto da uve Nuragus nella misura non inferiore all’80% (chiamato ad Ardauli Mravasia), prodotto negli antichi palmenti rupestri chiamati qui lacos de catzigare (vasche per la pigiatura), era conosciuto e apprezzato in tutta l’isola.
Fino agli anni ’50 del Novecento anche l’allevamento di viti su sostegni vivi (quali querce, bagolari, lecci, frassini) era diffusissimo, soprattutto lungo i corsi d’acqua e i confini di proprietà.
Il vino bianco di Ardauli, invecchiato di almeno un anno, veniva utilizzato anche nella preparazione di una vera leccornìa: S’Ortau.
Preparato un tempo in quasi tutti i paesi dell’isola, è divenuto oggi assai raro e ritrovabile, nell’intero Barigadu, solamente ad Ardauli e, con alcune varianti anche ad Allai e a Sorradile.
S’Ortau di Ardauli, il suo nome significa “rivoltato”, nel 2008 è stato riconosciuto – dall’Accademia Italiana della Cucina – come piatto tipico di Ardauli.
Si tratta di un salsicciotto ottenuto dal riempimento dell’intestino retto del maiale, con carni di prima scelta variamente aromatizzate. Di norma si utilizzano sia il filetto sia la spalla, compresa di una certa percentuale di grasso che viene fatto sciogliere e a cui, dopo precisa sminuzzatura, si aggiungono pomodorini secchi, del prezzemolo tritato, pepe, aglio, sale quanto basta e, come già detto, del vino bianco.
A tale amalgama, lasciato insaporire in una terrina per circa un’ora, si aggiungono il pane ed il formaggio grattugiati; si procede quindi al riempimento dell’intestino, che si sarà avuta l’accortezza di aver accuratamente ripulito e, a seconda dei gusti, lasciato in ammollo in un bagno d’aceto e limone. Dopo aver legato le due estremità dell’intestino, ottenendone una sorta d’anello, lo si fa bollire per una quindicina di minuti, poi lo si lascia raffreddare nell’acqua di cottura, si fa asciugare e quindi viene fatto cuocere su graticola al calore delle braci vive, oppure, ma più raramente, nel forno.
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