Di Gianfranco Quartu
Pellegrino Artusi, considerato il padre della cucina italiana unificata, autore nel 1891 del libro “La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene”, ci può dare alcuni importanti suggerimenti se volessimo sperimentare quest’anno la cena della vigilia o un pranzo natalizio con la struttura di un pasto ottocentesco.
Un tuffo nel passato con il desiderio di ripercorrere quegli itinerari culinari che dominavano nella cucina borghese di due secoli fa. Ma è riproponibile oggi un modo di cucinare totalmente diverso da quello al quale siamo abituati? Forse può valere la pena provare, tenendo sempre conto che si tratta comunque di giornate nelle quali può essere consentito trasgredire.
Bisogna sottolineare che la maggior parte delle ricette artusiane sono rimaste nell’uso comune, modelli che sono proprio archetipi della cultura popolare della cucina di oggi. Rifare per intero un menù di quelli che l’autore consiglia per le grandi feste è forse un po’ troppo impegnativo ma, dosando le quantità, ritoccando i condimenti e i tempi di cottura, possiamo in qualche modo avvicinarci ad un’esperienza che ci riporta indietro nel tempo.
Anche da un punto di vista calorico le nostre capacità sarebbero davvero messe alla prova, in un’epoca come la nostra dove viviamo in case riscaldate, ci muoviamo in auto, utilizziamo gli ascensori e siamo molto, molto più sedentari, un’epoca nella quale il nostro dispendio calorico è di gran lunga inferiore a quello dei nostri antenati.
Il menù natalizio che consiglia Artusi si suddivide in due, perché nella tradizione italiana viene privilegiato o la cena della sera della vigilia o il pranzo del giorno del 25. Nel sud Italia si va tradizionalmente più verso la cena della vigilia, nel nord si va più verso il pranzo di Natale. E in questo non è casuale che Artusi proponga, in quello spirito di unificazione nazionale che muove la sua opera, entrambe le possibilità: la cena di magro, in quanto la vigilia prevede che non si mangi carne, e il pranzo del giorno di Natale a base di carne.
Lo schema che propone è comune a tutti i menù artusiani. Si inizia con un primo piatto: la minestra, a volte asciutta, a volte in brodo. Poi ci sono i “princìpi”, quelli che oggi chiamiamo antipasti, poi c’è il fritto, gli “erbaggi”, l’arrosto, i dolci e la frutta.
Per la cena di magro della vigilia potremmo provare i tortelli di magro o, in alternativa, il risotto con le telline. A seguire crostini con caviale, acciughe, olio e agro di limone.
Segue poi il fritto: triglie, sogliole e totani. Come “erbaggi”, i cardi alla besciamella. A seguire l’anguilla, arrosto o in umido, o un altro pesce.
Arrivati al dolce Artusi consiglia il croccante, le mele in gelatina, gli aranci a fette con zucchero a velo e alchermes. E poi la frutta: pere, mele e frutta secca.
E’ evidente che tutte insieme queste cose ci diano l’idea di un pasto piuttosto impegnativo, ma in realtà è una proposta molto sobria: sono piatti basici (la sogliola fritta, i cardi con besciamella o l’anguilla arrosto), è il metterli tutti insieme che rende un po’ faticoso il tutto, ma ciascuna di queste ricette è una ricetta tradizionale della cucina italiana.
Per il giorno di Natale, Artusi, da buon romagnolo, comincia il pasto con i cappelletti all’uso di Romagna, seguiti dallo sformato della signora Adele, dal cappone in galantina o, in alternativa, dai tordi disossati in gelatina. Artusi nella sua opera indica molti piatti seguiti dal nome dall’autore, come nel caso dello “sformato della signora Adele”, perché nel corso degli anni raccoglie ricette un po’ da tutta l’Italia, ricette che gli vengono inviate attraverso le poste dell’epoca, e che lui classifica e denomina spesso indicandole con il nome del mittente, che faranno poi parte della sua grande opera. Artusi peraltro non è un cuoco, è più un letterato mosso dalla curiosità di costruire un’anima comune della nostra cucina.
Tornando al menù del pranzo di Natale, si prosegue con un arrosto di cacciagione, come d’uso all’epoca: lepre o beccaccia. A seguire l’insalata e poi si passa ai dolci, torta di pane bruno o plum-pudding e il panforte. E poi frutta, pere, mele, mandarini e datteri, ed il formaggio.
In tutte le nostre tradizioni locali il pane quotidiano diviene un dolce natalizio che viene arricchito da spezie, zucchero, canditi, uvette e altro, e rappresenta un elemento tipico della tavola che noi oggi conosciamo soprattutto nella versione industriale del panettone milanese, che però è solo una delle tante possibili varianti locali di tale tradizione.
In questi due menù riconosciamo molto della nostra tradizione popolare, quella tradizione che viene comunemente indicata come la cucina della nonna, quelle preparazioni tramandate su quaderni e appunti ingialliti dal tempo, che spesso non sono altro che, secondo molte ricerche effettuate, trascrizioni proprio del libro di Artusi.
In conclusione, se si volesse provare a riproporre un menù artusiano per le prossime festività, le singole ricette dello sformato della signora Adele, quella dei cappelletti all’uso di Romagna, il cappone in galantina e le altre, si possono reperire agevolmente sui motori di ricerca, avendo l’accortezza di moderare leggermente le quantità, i condimenti, i grassi e i tempi di cottura. Ogni ricetta è particolarmente laboriosa e richiede tanti ingredienti, per cui la preparazione di ogni singolo piatto è assai impegnativa e necessita tempo.
Gianfranco Quartu giornalista e food blogger. Si occupa di storie di cucina, di cibo, alimentazione e food photography. Su Instagram @Cucinieremoderno