L’Enohobby Club Confraternita Panormita ospiti del mulino Fiaccati e della fattoria Ruralia.


In una giornata sovrastata dal caldo africano, l’Enohobby Club Confraternita Panormita, con in testa la sua super dinamica presidente Prof.ssa Rozenn Cancilla Ziniti è stato ospite del mulino Fiaccati di Roccapalumba e della fattoria didattica Ruralia di Alia, luoghi incantevoli e pieni di fascino.
La visita rientra nelle iniziative periodiche che l’associazione svolge con la finalità di rinsaldare il sodalizio con il territorio siciliano.


Il mulino Fiaccati, qualunque sia la stagione, ti conquista sempre, ed è anche difficile identificarne il motivo. Senza alcun dubbio incide il sinuoso corso del fiume Torto con le sue acque limpide e serene, pronte alle prime piogge ad ingigantirsi e diventare repentinamente tumultuose. Influisce anche la sua struttura dall’aspetto semplice ma nel contempo austero e con la sua rigorosa forza evocativa. Di sicuro su tutto e tutti impera il suo proprietario, il “templare del Fiaccati” il mitico Pino Pollina. Smilzo, asciutto, ma nel contempo arcigno, con il capo sovrastato dalla sua inseparabile coppola bianca compagna di viaggio della sua vita. Le testimonianze di Pino, attraversano la storia del territorio, gli aspetti archeologici, quelli etnoantropologici, un piacevole viaggio che ti conducono serenamente a farti innamorare del luogo.


Pino ti ammalia, ti catapulta dentro le sue storie e le sue emozioni. Carismatico e coinvolgente si dispera contro il Covid-19 ed invita tuti a vaccinarsi. Poi si mette in azione. Il copione è sempre lo stesso, la magica molitura del grano attraverso i misteriosi meccanismi del mulino ad acqua. Pino e il mulino sono una cosa sola. L’edificio del tardo Ottocento è incastonato tra fenditure di rocce a strapiombo sul fiume, dal quale si dirama l’avvolgente caratteristica vegetazione mediterranea.


Un opera voluta dalla nobile famiglia Avellone, inciso in una pietra è ricordata l’anno di costruzione: 1887. Pino racconta l’epopea del mulino, che grazie ai finanziamenti europei e la supervisione della sovrintendenza ai Beni Culturali, è stato possibile ristrutturare. Poi il racconto passa sugli aspetti tecnici: “Il mulino sorge su una superficie di 32 ettari lungo la regia trazzera che congiungeva Palermo e Siracusa. Le acque del fiume vengono fatte convogliare in una “urga” (diga) in pietra, una specie di cisterna. Anche di notte, grazie alla sua posizione, la diga si riempiva, assicurando il movimento della macina per il giorno successivo. Il mulino è stato realizzato grazie all’ausilio della pietra locale, ne è testimone una cava in disuso a pochi metri dal fabbricato dalla quale è stata prelevato il materiale per la costruzione. L’edificio è composto da un corpo centrale, suddiviso in tre ambienti, in cui si trovano due impianti per la molitura, due grosse macine in pietra, azionate dal movimento dell’acqua. Accanto al mulino si trova un altro fabbricato che in passato veniva utilizzato come stalla e fienile. Sulle pareti interne si notano rami di albero conficcati al muro, con l’estremità sporgente arrotondata: sono i cosiddetti “cavigghiuna”, adoperate per appendere selle e bisacce. Appesi ai muri esterni, sfidato il tempo, gli anelli in ferro usati per legare gli animali in sosta. Un suggestivo ambiente naturale quello dentro e attorno al mulino, l’unico di tipo idraulico ancora funzionante in Sicilia, opificio, che nel 2011 ha meritato il riconoscimento di Meraviglia Italiana”. L’intera zona attorno al mulino è vincolata a zona archeologica, pare che l’intera area possa far parte di un insediamento neolitico. Il sito, in seguito ad alcune piogge, ha portato alla luce diversi manufatti agricoli risalenti a diecimila anni addietro: come asce in pietra, coltelli di selce e ossidiana e vasi graffiati con uno, due e tre colori, materiali di cui lo stesso Pino è stato lo scopritore”.


Posto mistico, avvolto nel silenzio, sollazzato soltanto dal cinguettio di alcuni passeri, dal gracidare delle rane che scorrazzano negli acquitrini e dal gorgoglio del fiume che non si stanca mai di sobbalzare. Basta fermarsi un momento e come per magia si possono riascoltare le voci che animavano il mulino, voci frammisti al rumore alle ruote di pietra che all’interno del mulino si sfregavano l’uno e l’altra liberando dalle cariossidi di grano, la grazia di Dio: la prodigiosa semola, buona per panificare e pastificare. La vita del mulino fino agli anni sessanta era pieno di persone e animali, oggi è rimasta solo l’antica memoria, reminiscenza che rimarrà viva, finché il suo templare avrà la forza e la passione di raccontare le gesta del Fiaccati. Il suo racconto termina con una frase che è l’essenza anche della cultura del mulino: “Quannu i mulinara si sciarrianu guardativi i sacchi”. La traduzione e il senso è abbastanza chiaro e pieno di attualità.


Gli amici di Enohobby restano affascinati, qualcuno suggerisce di rimanere tra quelle mura, capaci anche di smorzare il caldo dello scirocco. Dopo un tozzo di pane cunzatu, rigorosamente con olio extravergine, acciughe, origano e una spolverata di sale, arriva il saluto. Negli occhi di tutti resta la speranza di tornare tra quelle pietre pregne di storia, di gloria e di nostalgico passato.


Un coloratissimo pullman dal colore azzurro che ricorda quello della nazionale di calcio, si, quello degli europei vinti, aspetta col motore acceso pronto a ripartire e a trasferire la compagnia alla fattoria didattica Ruralia. Una conta veloce e si parte. Il paesaggio è quello delle aree interne, strade approssimate, paesaggio avvolto dal silenzio e dalla quotidianità, poco importa, basta questo per sentirsi sereno. Tra gli squarci delle rocce appuntite che si innalzano al cielo, ansimante, spunta un piccolo treno, un suono assordante rimbomba nella piccola gola, un modo tutto proprio dei treni per salutare ma anche per avvertire del suo passaggio. Fa parte anche dello spettacolo a costo zero. Distese di coloratissimi ficodindia pronti per essere raccolti, come guerrieri armati, mostrano vogliosi la loro spettacolarità. Non meravigliatevi, siamo a Roccapalumba il paese delle stelle e del ficodindia. Il tempo di ricordare che il prossimo mese la cittadina ospiterà la sagra e si imbocca la strada che porta ad Alia. Sulla sinistra del pullman la stazione di Roccapalumba, con il suo quartier generale delle ferrovie, peccato, oramai in stato vetusto. Roccapalumba è crocevia delle strade ferrate che congiungono Palermo con Agrigento e Catania. La strada comincia a salire siamo in territorio di Alia.
Il paesaggio cambia e i seminativi la fanno da padrone. Intere distese con animali a pascolo fanno presagire il sapore delle carni e dei formaggi. Lasciamo sulla destra la frazione di Marcatobianco la roccaforte dei formaggi della Sicilia occidentale e dopo qualche curva il pullman rallenta la sua corsa ed entra nel cancello di Ruralia.
Ad attenderci con un sorriso sfavillante troviamo Dario Cartabellotta e la figlia Maria Grazia. “Benarrivati” con voce sicura e amica dice Dario, analogo saluto viene ripetuto dalla figlia.
Col suo pugno chiuso, oramai come da consuetudine Covid, dà il benvenuto, in altri tempi avrebbe abbracciato tutti, questo è il suo stile di vita.
Ruralia è una fattoria didattica posizionata nel territorio di Alia, in contrada Porcheria, sulla Strada Statale 121, custodisce, oltre ai consueti animali da cortile, un museo etnoantropologico. Il luogo è ameno ti colpiscono i fabbricati, uno prospiciente all’altro, quasi a ricordare le vecchie masserie di una volta. Un ampio selciato con pietre bianche levigate risplende al sole, in maniera ordinata ospita delle aiuole dove primeggiano alberi di ulivo. Ti colpisce il senso di pulizia e l’area festosa di ospitalità. All’ingresso della sala riunioni domina una foto di Gioacchino Cartabellotta medico e appassionato di agricoltura, fondatore dell’azienda, amore per la terra che ha travisato al figlio Dario. La fattoria ospita anche convegni, ricevimenti, feste e manifestazioni culturali; ed ancora, la struttura organizza escursioni come trekking, cicloturismo, ippoturismo, ecc.


Ruralia è stata ristrutturata da Rosalia Drago, architetto moglie di Dario, e condotta da lei stessa insieme al papà Salvatore, la mamma Giovanna ed ai figli Maria Grazia e Francesco, con la collaborazione dei straordinari zii: Carla, Damiano e Vincenzo.
Quello che strabilia è l’accoglienza, d’altronde la simpatia dei Drago e dei Cartabellotta da queste parti è proverbiale, gente di cuore e di passione. Mentre Giuseppe Leone, infaticabile mastro casaro fila le stuzzicante caciotte, accanto cresce la ricotta, dopo l’assaggio della classica zabinata, farà parte degli antipasti o apripitittu.


Il museo etnoantropologico è fatto di piccole grandi cose che raccontano l’agricoltura di una volta, ogni cosa è selezionata e pregna di evocazioni. Oggetti che agli amici del Confraternita Panormita suscitano ricordi, recupero di memorie perse.
Dario da grande esperto di grani, racconta la storia di questo lembo di territorio, luogo granario d’eccellenza, mostra le diverse varietà di grani antichi: Bidì, Perciasacchi, Timilia, ecc., racconta il duro lavoro dei campi e sfoggia tutte le attrezzature utilizzate dagli agricoltori fino agli anni Sessanta.
Ruralia è anche un campo di conservazione della frutta. La biodiversità è manifestata dalle numerose varietà presenti, frutti gustosi e profumati, preziosità che difficilmente si trovano sui banchi dei fruttivendoli o nei bancali dei supermercati. Ruralia è arricchita da un orto e da un percorso sensoriale di erbe aromatiche. Tra gli edifici insiste anche un piccolo caseificio presso il quale viene lavorato il latte delle circa 120 pecore allevate in azienda dal quale si ricavano dei meravigliosi formaggi e un insuperabile ricotta, prodotti utilizzati nelle degustazioni aziendali.


Negli occhi degli amici del Enohobby Club Confraternita Panormita si coglie la grande emozione e il compiacimento per questa struttura che mai avrebbero pensato di trovare nel cuore della Sicilia. Ruralia ha queste prerogative: un monumento a memoria dell’agricoltura.
La sala adibita al servizio da pranzo è un luogo confortante, i tavoli ospitano come legge prevede quattro coperti; una spartana ma elegante stuoia ospita le vettovaglie.
La parte alta della sala, che all’occorrenza è anche buona per ospitare conferenze ed incontri conviviali, è stata sistemata la biblioteca, volumi che rammentano il mondo rurale siciliano con opere singolari e ricercatissime.
Il tempo necessario che gli ospiti si accomodano e si dà inizio al rito del pranzo. Si! A Ruralia mangiare è un culto, frammisto a cultura, storia e cordialità e soprattutto rispetto degli alimenti, quello stile di vita che solo qualcuno chiama ancora: all’antica. Parsimonia della tavola, ma anche abbondanza nella diversità.
Una cucina che non ha eguali. Questa grazia di Dio è tutta a Km 0, gran parte dei prodotti utilizzati sono ottenuti nella stessa azienda. Le poche cose che non sono a marca Ruralia provengono dal territorio limitrofo.
Dopo il formaggio primosale, la ricotta, ottenuta e preparata a vista dall’amico ed esperto casaro Giuseppe Leone, il pranzo si apre sempre con la tradizionale zuppa di grano Perciasacchi condito con verdura, pomodoro e formaggio un mix di rievocazioni di sapori antichi intelligentemente e consapevoli riportate all’attenzione per i buongustai e facente parte di quei prodotti a km 0.
Due primi si contendono il primato del gusto. Sistemati in due antichi lemmi che la tradizione ci ha consegnati dalla storia rurale: la classica pasta con spaghetti, pomodoro, melanzane fritte, spolverata di ricotta salata e il profumo intenso e incontenibile del basilico, piatto che qualcuno chiama “alla Norma”, mentre il contendente è la pietanza: casarecce con una cremina a base di verdure e ortaggi. I padormiti si trovano in imbarazzo. Alla fine li mangeranno entrambi. Il secondo è il classico agnellone a forno amalgamato con aromi mediterranei cotte in forma slow che rendono le carni tenerissime e gustosissime; i contorni sono costituite dalle classiche patate a forno con cipolle e la superba insalata di pomidoro con cipolla rossa, con origano e olio extravergine, qualcuno dalle nostre parti la chiama sguazzavucca.
La frutta è rappresentata dal melone varietà cartucciaru, dal sapore dolce e marcato dall’inconfondibile profumo, accanto è presente l’uva appena raccolta dal classico alberello. Dulcis in fundo. Graditissimo è il mistico e nobiliare gelo di melone il dolce preferito dal poeta Lucio Piccolo; l’angolo dei dolci è arricchito da una torta che sa di tenerezza e di passione, le classiche torte di casa quelle che ti ricordano il ciuf ciuf dell’uovo sbattuto nella scodellina per farlo montare, profumate dalla cannella e dalla vanillina, con il pan di Spagna farcito con la classica delicata crema di ricotta, stiamo parlando della torta l’emblema dei dolci rurali, l’antesignana della cassata cittadina.
Vino e olio meritano il plauso. Fanno sfoggio i vini della cantina Patria dell’Etna con un Rosé dal gusto pieno e vellutato ottenuto da uve Nerello Mascalese, ricco di sentori agrumati di frutta fresca con buona acidità e freschezza, dati dal terreno vulcanico e minerale. Presenti i profumi di frutto di bosco. A seguire un Patria Etna Rosso Dop proveniente dai vitigni di Nerello mascalese e Nerello cappuccio vini dalla struttura complessa e dalle caratteristiche uniche dal colore rosso rubino con riflessi granati, ricco di profumi intensi e balsamici, con note di frutta rossa e spezie. Al palato risulta ben equilibrato, vellutato e persistente. Vino che obbligatoriamente bisogna far decantare.
L’ olio extravergine proviene delle colline castronovesi dell’ azienda “Grotte Capel Venere” di Salvatore Trainito, ricco di fruttato e di sentori con un retrogusto amaro intenso, con sensazioni di erbe fresche.
Cibo a Km0, senza bagni di colesterolo e con l’obiettivo di ritemprare la pancia e il cuore.
Ho il piacere di sedere al tavolo dell’intelligente presidente Rozzan Cancilla Ziniti, innamorata del ruolo che svolge. Dispensa saluti al prof. Di Lorenzo uno che di vino ha dedicato tutta la sua vita, e incita tutti ad alzare i calici, insomma è una che il presidente lo sa fare bene. Al nostro tavolo c’è anche il mio caro amico Dario Di Bennardi, elegante, composto con la moglie Sandra apprezzatissima pittrice.
Il dialogo è piacevole e soprattutto coinvolgente spazia tra il vino, l’olio e l’analisi sensoriale, ma soprattutto si parla di programmi, elementi che fanno presagire che l’ Enohobby Club Confraternita Panormita ha un suo glorioso futuro. Peccato che è finita presto la giornata. In molti hanno impregni serali.
Dario, Maria Grazia e Rosalia hanno intrattenuto la sala in maniera impeccabile facendo sentire tutti a casa propria, d’altronde si può obiettare sulla scuola di Dario? Le sue radici sono fortemente rurali ed evidenziano il senso dell’accoglienza e dell’ospitalità, quello che comunemente è chiamato carattere amiciaru, caratteristica che è viva nelle corde delle famiglie Cartabellota e Drago.