La Gidata è una delle specialità gastronomiche della cittadina di Prizzi, comune dell’area metropolitana di Palermo. Dai 1045 metri sul livello dal mare domina l’intera Valle del Sosio e costituisce uno dei luoghi più ameni dell’intero territorio dei monti Sicani.
La Gidata è un fagottino di pane che racchiude tutte le prelibatezze della saggezza gastronomica del mondo contadino.
Al convegno, dedicato alla leccornia prizzese e promosso dall’amministrazione comunale, sono intervenuti il vice sindaco Giuseppe Castelli; il presidente della Proloco di Prizzi Giuseppe Girgenti; Mario Liberto, scrittore e giornalista; Gaetano Siragusa, Slow food, responsabile dei Presidi della Sicilia occidentale; Marisa Canzoneri, agronomo; Lucia Vintaloro, responsabile della SOPAT dell’ESA di Bisacquino; gli assessori comunali: Giuseppe Carbone, Nunzio Amato, Giovanni Pecoraro; la kermesse è stata moderata dall’agronomo Gaspare Carbone.
Successivamente al convegno è seguita una degustazione di prodotti tipici locali: gidati, pignolati, cucciddati. L’esibizione del gruppo “Giovani in Fiore” di Prizzi ha chiuso la manifestazione.
Per la sindaca Antonella Comparetto: “L’Amministrazione comunale, nel promuovere la Gidata con la sua prima sagra, vuole riprendere e valorizzare i prodotti tipici che rischiano di essere dimenticati. Tutto ciò è possibile farlo tramite la conoscenza, la promozione e la divulgazione alle nostre future generazioni. Oltre alla Gidata, si è voluto dare anche risalto ad altri due prelibatezze prizzesi: la Pignolata, tipicità della festa di San Giuseppe e il Buccellato che richiama la festa del Natale”.
L’origine e l’evoluzione della Gidata, (il nome gidata deriva da gida, in siciliano, ed è riferita alla Beta Vulgaris) è stata raccontata magistralmente dallo scrittore e giornalista di enogastronomia Mario Liberto, il quale ha precisato che: “la Gidata pietanza non molto dissimile della ‘Nfriulata, prodotto bandiera delle comunità di Ciminna e Lercara Friddi è di origine medievale”.
Sempre per Liberto: “la Gidata è una pietanza identitaria, cioè ad essa tutta la popolazione locale si riconosce; è un piatto di condivisione, sia nella fase di preparazione, sia in quella di consumo, ma è anche coinvolgente, poiché sancisce un momento di festa. Buono anche per lo street food”.
Si tratta di un fagottino di pane impastato con acqua, sale, lievito e olio extravergine di oliva. Il chinu o conza, cioè la parte interna, è costituita da: bietole selvatiche, cipolla, acciuga, lardo di maiale per dare sofficità, aglio, pepe nero, patata, formaggio pecorino grattugiato, sale e olio extravergine di oliva. Negli anni il fagottino si è arricchito della salsiccia di maiale senza budello e dal pomodoro Siccagno, alimenti che qualcuno sottolinea essere una variante. La farcia ottenuta viene mescolata per assicurare che a tutti la possibilità di degustare i vari componenti.
Il piatto è preparato da ottobre fino ad aprile, periodo dell’anno quando le bietole sono tenere e profumate; le stesse, una volta preparate, si conservano per alcuni giorni.
Nonostante l’evento sia stato il primo appuntamento di valorizzazione di questa leccornia, la partecipazione di un pubblico attento e numeroso ha sancito il successo.
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