Rifermentati, che passione!

RIFERMENTATI, CHE PASSIONE!

Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare dei vini prodotti con metodo ancestrale che, spesso, i “puristi del vino” hanno considerato secondari, apparentemente meno raffinati a causa dei residui della fermentazione in bottiglia che, talvolta, li rendono torbidi e meno affascinanti. In Italia vengono chiamati “Rifermentati in Bottiglia”, “Sur Lie”, “Frizzante Naturale”, “Col Fondo” come nel caso del Prosecco o come avviene in Francia, “Pét-Nat” (abbreviativo transalpino che sta per pétillant naturel) senza evidenti distinzioni.
Si crede che l’origine dei vini ancestrali possa risalire all’antica Roma: ci sono prove che particolari anfore, dotate di una doppia maniglia e di una struttura in piombo, venissero utilizzate per mantenere la pressione di una atmosfera all’interno del contenitore, in modo da rendere il vino “titillans”. 
Questo metodo si è poi sviluppato in Francia per mano dei monaci di St-Hilaire intorno al 1531, nella regione nel dipartimento dell’Aude e noti come Vin de Blanquette.  Con l’invenzione della pressa per il vetro e l’abbassamento del costo dello zucchero, il metodo ancestrale venne quasi del tutto abbandonato e intorno al 1824 fu addirittura bandito in Francia in favore del nouveau méthode de champagne, che sarebbe stato poi utilizzato come modello di riferimento in tutta Europa. Solo nel 1938 il vino méthode rurale fu riconosciuto come una denominazione AOC separata, chiamata appunto, Blanquette méthode ancestrale. Una curiosità a tal proposito: in questa AOC i vini sono elaborati da un unico vitigno: il Mauzac, caratterizzato dal suo gusto di mela verde e di pera. In questo caso, la presa di spuma viene effettuata direttamente in bottiglia, con una fermentazione completamente naturale e spontanea ma resta il mistero sull’influenza della vecchia luna di marzo, un periodo tradizionalmente dedicato all’imbottigliamento, con la presa di spuma che fallisce sistematicamente quando viene eseguita sotto un’altra luna.

Venendo ai giorni nostri, è bene tener presente che in Italia il metodo ancestrale era già noto sin dai primi anni del ‘900 in Emilia-Romagna, Marche, Veneto e Valle d’Aosta. Ma è solo negli ultimi quindici o vent’anni che la domanda dei consumatori è esponenzialmente cresciuta. Questo perché, a mio avviso, la tecnica valorizza in maniera importante le varietà ampelografiche della penisola, facendo sì che i produttori possano sfruttare al meglio il potenziale dei loro vitigni creando prodotti sempre più fedeli ed espressivi del territorio in cui nascono. Alcune considerazioni tecniche si rendono necessarie per poterli identificare meglio cercando di disperdere quella scorretta convinzione che li vede come semplici “vini da merenda” modaioli o passeggeri.
Va detto, innanzitutto, che si tratta un metodo produttivo abbastanza complesso da realizzare. Per avere una bollicina intensa, infatti, è necessario valutare attentamente le tempistiche di imbottigliamento, monitorare i livelli di zucchero (circa 2,4% ovvero circa 24 grammi/litro di zuccheri) mentre la fermentazione si interrompe con l’abbassamento della temperatura sino a 2.7°C, inibendo così l’azione dei lieviti. Viene monitorato attentamente anche l’alcol in modo tale da capire quante atmosfere verranno prodotte grazie alla CO2 fermentativa e impedire che le bottiglie esplodano. Alcuni produttori preferiscono effettuare un controllo delle temperature (io apprezzo più il termine “gestione” della temperatura”) in modo tale da monitorare in maniera più sicura l’intero processo di vinificazione.
La seconda fermentazione, detta anche presa di spuma, avviene naturalmente all’interno della bottiglia, grazie ai lieviti presenti nell’uva per un periodo di tempo, solitamente da 6 a 18 mesi, il così detto processo di autolisi delle fecce, che contribuisce a sviluppare il carattere e il profilo aromatico del prodotto finale A seconda della visione del produttore i vini vengono sottoposti o meno alla sboccatura. Nel caso in cui quest’ultima non venga effettuata, il risultato finale sarà più velato se non torbido nel calice, con i profumi dei lieviti ben evidenti, senza però svilirne l’identità varietale o incorrere in banali omologazioni. Non ci sono regole per la produzione di questi vini, come ad esempio avviene per lo Champagne o i vari metodo classico, il cui prodotto finale risulta essere oggettivamente più elegante. Il perlage è più delicato e meno aggressivo ma è anche ciò che, in fin dei conti, dona profondità, spessore e distintività al vino perché ne esalta le caratteristiche del vitigno. Il risultato? Vini rustici, crudi che personalmente trovo rinfrescanti e divertenti. Per dare un po’ di “grip” all’assaggio si può scegliere la modalità di degustazione, col fondo o meno, ma quella è una scelta soggettiva.
Si pensa che i vini ancestrali non siano adatti a lunghi invecchiamenti e che debbano essere consumati preferibilmente entro alcuni mesi dall’acquisto alla stregua dei vini novelli, insomma vini da tavola divertenti e versatili fatti per essere consumati nell’immediato. Ritengo anche questo un luogo comune che di sicuro meriterebbe più ampie dissertazioni. 

Da diversi anni, il 2 giugno, in Emilia-Romagna, in modalità itinerante tra le province di Reggio Emilia e Piacenza, ha luogo un interessante evento dedicato a questa tipologia di prodotti, “Emilia Surlì” (trovo il nome dell’evento un gioco di parole geniale). Ma chi sono gli organizzatori di “Emilia Surlì”? (riporto fedelmente dal loro sito): 

È un gruppo di vignaioli, è un progetto, è un’idea che nasce proprio d un uualla volontà di trasmettere in prima persona la conoscenza delle tradizioni del territorio emiliano. Perché in Emilia i vini frizzanti si fanno da sempre e l’unico modo in cui ritroviamo la nostra tradizione, è attraverso la rifermentazione naturale in bottiglia.
Per questo motivo un gruppo di produttori, che vanno da Piacenza fino a Bologna, ha deciso di stilare un manifesto nel quale identificarsi e celebrare ogni 2 giugno una festa per incontrarsi.

Tra un panino e un piatto di salumi e formaggi, inizio la mia sessione di degustazione. Il tempo è clemente, qualche nuvola sparsa fa capolino e i porticati attorno alla corte offrono riparo dal caldo opprimente ai produttori e ai winelovers. Ricordo che l’edizione del 2019, presso il Podere Cipolla, fosse risultata piuttosto problematica sotto questo punto di vista rendendo la degustazione a tratti poco piacevole.

(interno di Corte Faggiola)


I produttori accorrono da tutta la regione, (ma in alcune edizioni anche fuori dai confini) dalla bassa mantovana e dal pavese, per fare sfoggio delle loro produzioni. È una festa, dove la tradizione gastronomica locale, grassa e untuosa, si sposa magnificamente con i vini in degustazione. Il 2 giugno 2023 in occasione dell’ultima edizione, ho visitato Corte Faggiola (Podenzano, Piacenza). Questa meravigliosa corte agricola è stata inaugurata ai primi del 1900, per l’agricoltura del tempo. Oggi è uno spazio tutelato come bene di valore monumentale dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici per il suo grande valore storico.

Tanti i produttori presenti, ne ho contati 27, molti li conoscevo già e per quelli mi sono limitato ad assaggiare le ultime annate o qualche nuova annata.
La mia attenzione e il mio palato, invece, sono stati rapiti da alcuni assaggi a dir poco sensazionali, riporto una piccola galleria (NB, gli organizzatori di Emilia Surlì, come si potrà evincere dalle foto, hanno volutamente riciclato i cavalieri delle aziende dell’edizione del 2022 per risparmiare carta).

Arrivederci alla prossima edizione di Emilia Surlì!

L’immagine della copertina è di Freepik