La Pasqua è la festività più importante del calendario cristiano, per Nostro Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, che è venuto per dare la sua vita e vincere sulla morte mediante la Resurrezione.
In Sardegna, come d’altronde tutte le regioni che hanno avuto una dominazione spagnola, la Pasqua è particolarmente sentita e celebrata mediante processioni, organizzate dalle confraternite che ricordano e ci fanno vivere i momenti più importanti della Passione, Morte e Resurrezione di Gesù Cristo.
Durante il mio periodo vissuto a Villanova, uno dei quartieri antichi di Cagliari, era emozionante, vivere la Pasqua con le processioni che passavano nella strada di casa, oppure dando omaggio alla statua del Cristo deposto nella chiesetta al rientro a casa, dopo il lavoro, il Sabato Santo.
Gesù Cristo in processione da Villanova a Casteddu: è la Cagliari dei confratelli (http://www.sardegnasotterranea.org/gesu-cristo-in-processione-da-villanova-a-casteddu-e-la-cagliari-dei-confratelli/):
“A Cagliari è Pasca Manna come d’altronde è Pasqua in tutta la Sardegna e – ovviamente – non solo qui. Però è nel vecchio quartiere di Villanova, ai piedi del Castello, tra le sue strette viuzze sulle quali sporgono balconi ricchi di fiori colorati, che oggi stiamo assistendo ai riti della più importante festa cristiana.
Dalle nostre parti essa viene indicata come sa Pasca manna”, in contrapposizione a sa Paschixedda, meglio nota come il Santo Natale.
La processione in via Manno
L’eco dei canti, dei passi cadenzati da uomini con abiti sacri seguiti dal profumo dei fiori freschi, vede le cerimonie della liturgia ufficiale fondersi con riti antichissimi. A custodirli sono stati i fedeli, di padre in figlio. Riti insiti in una serie di processioni che rievocano passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo.
GRANDE PARTECIPAZIONE anche questa sera in via San Giovanni e nelle strade limitrofe sferzate da un ululante maestrale. La fiumana avanza, con volti distesi, felici, partecipi.
Del resto oggi è il Venerdì Santo, evento clou delle celebrazioni. Dalla Chiesa di San Giovanni, diretta alla Cattedrale del Castello, sfila in testa alla processione la statua di Gesù Crocifisso sovrastato da un baldacchino bianco.
La processione
Ad accompagnarlo anche la statua della Madonna Addolorata: con il petto dolorante trafitto, per l’appunto, dalla “spada dei sette dolori”, è accompagnata da due bambini che simboleggiano San Giovanni e la Maddalena. Splendidi gli stendardi del XVIII secolo che aprono il corteo, con i simboli della passione: il gallo, la spada, i chiodi, il mantello e i dadi dei soldati romani.
SABATO SANTO sarà caratterizzato da “Su Scravamentu“: la deposizione dalla croce del Cristo morto che verrà adagiato, disteso, su un letto adorno di pizzi e di veli la mattina, e poi verrà condotto nel viaggio di ritorno alla Chiesa dal quale è uscito il giorno precedente (insomma oggi).
S’INCONTRU. La Domenica di Pasqua si terrà il rito finale de “S’Incontru”: per le 11 è fissato l’incontro tra la statua del Cristo Risorto e quella della Madonna con un singolare abbigliamento che rivestirà i due simulacri, simboleggiando la Resurrezione appena avvenuta. Ci sarà soprattutto lui, Gesù, a sfilare con una fascia color rosso e oro, con l’aureola. Ed anche lei, la Madonna, di bianco vestita, con decorazioni color oro, il manto azzurro, quell’incantevole velo di pizzo, la corona sul capo e un bouquet di fiori stretti stretti nelle mani.
LA CAGLIARI CRISTIANA e turistica, la città delle tradizioni è anche e soprattutto questa. Non è solo Sant’Efisio (per quanto una splendida sagra) o il Santo Natale. Perché la Settimana Santa rappresenta uno dei momenti più intensi della vita religiosa di un’intera città.
Porta tanta gente in chiesa, è una attrattiva che Cagliari ha la fortuna di possedere; soprattutto in questi tempi difficili, di sofferenza, dove si ha bisogno di socializzare, di unire. Seguendo il corteo, seguiti dagli astanti che si sentono coinvolti. Brave e laboriose, come sempre, le Confraternite coinvolte in questi riti: l’Arciconfraternita della Solitudine, quella del Santissimo Crocifisso, l’Arciconfraternita Gonfalone sotto l’egida – appunto – di Sant’Efisio martire. Ed anche lei, la Congregazione Mariana degli Artieri di San Michele.
VENERDÌ SCORSO era “di Passione” e ha preceduto la Domenica delle Palme con la suggestiva Processione de Is Misterius. A organizzarla, come sempre, l’Arciconfraternita del Santissimo Crocifisso. Ed ora, dopo il Martedì Santo, il Mercoledì, Giovedì, è giunta l’ora del Venerdì Santo. Aspetteremo la Domenica di Pasqua e il Lunedì dell’Angelo. Ad attenderci ancora una volta saranno le belle statue conservate nelle chiese coinvolte nei riti, capaci di affascinare, di far meditare come un miracolo che si ripete da centinaia di anni, generazione dopo generazione. Speriamo che sia ancora così. Come una preghiera per gli anni avvenire capace di avverarsi.”
Caratteristica è la processione in costume tipico a Desulo, proprio in occasione della Domenica delle Palme.
Ma come ha origine la celebrazione dell’arrivo del Messia con le palme (https://www.ilsussidiario.net/news/domenica-delle-palme-significato-e-origini-cosa-si-celebra-e-perche-i-rami-dulivo/2322154/)?
“L’episodio particolare delle “palme” in realtà, spiegano i Vangeli ufficiali, rimane alla celebrazione della festività ebraica di Sukkot, la “festa delle Capanne”: in questa particolare ricorrenza, il popolo ebraico si avvia in massa a Gerusalemme in processione verso il tempio. Come riporta il focus di “Vatican News” sulla Domenica delle Palme, i fedeli ebrei tenevano in mano il “lulav” – un piccolo mazzo composto da tre alberi, la palma (simbolo di fede), il mirto (simbolo di preghiera), il salice (simbolo del silenzio di fronte a Dio). Si tratta di una celebrazione “corale” della liberazione del popolo ebraico dall’Egitto dopo il passaggio nel Mar Rosso: secondo la tradizione dell’Antico Testamento, il Messia atteso si sarebbe manifestato al mondo proprio durante questa festa. E così accade, con l’ingresso di Gesù nella città a bordo di un’asina: anche qui, la tradizione è fortissima in quanto il profeta Zaccaria raccontava come il Messia fosse un re diverso da tutti, dunque sarebbe stato trasportato dall’animale più umile come l’asino, anche simbolo dell’istinto dell’uomo che viene condotto dal Signore (in groppa) verso la salvezza. «Dite alla figlia di Sion; Ecco il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma», le parole di Zaccaria nella Bibbia.
ULIVI, PALME E PACE: LA TRADIZIONE VERSO LA PASQUA
Ma la tradizione sicuramente più forte nella Domenica delle Palme è rappresentata proprio dalla pianta utilizzata dai fedeli ebrei nell’accogliere il Cristo all’ingresso in Gerusalemme: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell’alto dei cieli!», urlava la folla (mentre molti di questi, solo pochi giorni dopo, furono pronti a sostenere Barabba davanti a Ponzio Pilato, condannandolo alla Croce).
L’ossimoro di una festa così regale con quanto poi avvenuto nella Passione è proprio quella contraddizione che Dio con la sua venuta nella storia è riuscito a vincere definitivamente: «La palma è la pianta che si rinnova ogni anno con una foglia, ma riporta anche all’immagine messianica di creazione un ponte tra il monte e la città, tra Dio e l’uomo. Fino al IV secolo, a Gerusalemme una tradizione locale indicava fisicamente la palma da cui erano stati staccati i rami con cui i fanciulli avevano inneggiato a Gesù», spiega ancora la stampa Vaticana. Ma perché si parla anche di benedizione degli ulivi nella Domenica delle Palme? Semplice, in quanto in Occidente storicamente non crescevano palme e venne dunque sostituita dalla pianta di ulivo: in Europa del Nord, dove neanche gli ulivi esistono, si utilizza per la processione delle Palme un misto di rametti di fiori intrecciati. Seguendo la Liturgia della Chiesa per la Domenica delle Palme, le celebrazioni si svolgono a partire da un luogo adatto al di fuori della chiesa; qui i fedeli si radunano e il sacerdote benedice i rami di ulivo o di palma, che dopo la lettura di un brano del Vangelo vengono distribuiti ai fedeli. Come racconta “Famiglia Cristiana” elencando i simboli e la tradizione di questa domenica che inizia la Settimana Santa, «si dà inizio alla processione fin dentro la chiesa. Qui giunti continua la celebrazione della Messa, che si distingue per la lunga lettura della Passione di Gesù, tratta dai Vangeli di Marco, Luca, Matteo, secondo il ciclico calendario liturgico». Il racconto della Passione, che anticipa i temi del Triduo Pasquale, si articola in 4 momenti: l’arresto di Gesù; il processo giudaico; il processo romano; la condanna, l’esecuzione, morte e sepoltura. Solo al termine della messa per la Domenica delle Palme, i fedeli portano a casa i rametti benedetti dal sacerdote conservando quel simbolo di pace e scambiandolo con amici, parenti e conoscenti.”.
Si arriva, poi, al Triduo Pasquale (https://it.cathopedia.org/wiki/Triduo_Pasquale):
“Il Triduo costituisce un’unica celebrazione del Mistero Pasquale di Cristo, ripartita nei tre giorni di Venerdì Santo, Sabato Santo e Domenica di Risurrezione, con la Messa in coena Domini che ne costituisce il prologo.
Il Triduo va colto nella sua unità: le varie celebrazioni che si effettuano in esso non possono essere separate, ma vanno considerate come un’unica grande celebrazione che va dalla Messa “in coena Domini” del Giovedì Santo alla Domenica di Risurrezione. “Come la passione-morte sono inscindibili dalla risurrezione, così il Venerdì santo è inscindibile dalla Domenica di Pasqua”.
L’unità del Triduo Pasquale è data, in senso liturgico e teologico, dall’antica celebrazione eucaristica che in esso idealmente si celebra, cioè quella della Veglia Pasquale. Nel Venerdì e nel Sabato Santo non c’è celebrazione dell’eucaristia, perché la celebrazione eucaristica del Triduo è quella che si celebra nella Veglia Pasquale, unitamente agli altri sacramenti dell’iniziazione cristiana. È quindi la Veglia nella notte tra il Sabato Santo e la Domenica di Risurrezione a fare da elemento unificante dell’intero triduo. Senza questo riferimento alla Veglia, il mistero pasquale celebrato nel venerdì e nel sabato santo rimane senza chiave interpretativa, ma anche la Domenica di Resurrezione sarebbe unicamente il ricordo di un evento prodigioso e non la celebrazione della risposta di Dio alla vita donata del Figlio obbediente fino alla morte di croce.
Un secondo elemento, di tipo più specificamente rituale, segnala l’unità del Triduo Pasquale. All’interno di esso troviamo il saluto di chi presiede solamente all’inizio della Messa in coena Domini; ugualmente, vi è una sola benedizione finale e un solo “congedo alla fine della Veglia Pasquale. Più in dettaglio:
nella Messa in coena Domini non c’è congedo, ma l’assemblea “si scioglie in silenzio”;
il Venerdì Santo la celebrazione inizia nel silenzio, senza riti di introduzione, e termina senza benedizione e senza congedo, nel silenzio;
la Veglia Pasquale inizia con il lucernario, senza segno di croce e senza saluto; solo alla fine della Veglia si trova la benedizione finale e il congedo.
Tutto questo ci dice che il Triduo Pasquale è un’unica grande celebrazione che inizia con la celebrazione della sera del Giovedì Santo e termina con la Veglia Pasquale, nelle prime ore della Domenica di Risurrezione.”.
Vediamo la storia (https://it.cathopedia.org/wiki/Triduo_Pasquale):
“L’analisi storica dello sviluppo del Triduo Pasquale mostra che nel Medioevo si verificarono alcuni sviluppi nella celebrazione del Triduo stesso che ne sgretolarono sempre più la primitiva armonia e unità. Si verificò cioè una certa decomposizione dell’unità teologica della passione-morte-risurrezione a vantaggio delle solo passione e morte del Signore, delle quali è più facile, tra l’altro, generare “rappresentazioni”. Emerge inoltre una tendenza a rendere la liturgia “dramma sacro” nella stessa azione liturgica e nelle manifestazioni folcloristiche che l’accompagnano e prolungano.
Gli inizi
Gli inizi della storia del Triduo Pasquale vanno cercati nelle prime testimonianze esplicite della celebrazione annuale della Pasqua, datate alla metà del II secolo e ubicate nelle Chiese dell’Asia Minore; queste celebravano la Pasqua il 14 Nisan, giorno in cui era prescritto ai Giudei di immolare gli agnelli. Questi cristiani, chiamati appunto quartodecimani, convinti che la morte di Cristo aveva sostituito il Pesah giudaico, celebravano la Pasqua digiunando il 14 Nisan, e terminavano il digiuno con la celebrazione eucaristica che aveva luogo alla fine della veglia notturna tra il 14 e il 15 Nisan. Le altre Chiese, guidate da Roma, celebravano la Pasqua la domenica dopo il 14 Nisan.
Eusebio di Cesarea († 339/340) ci informa nella sua Storia Ecclesiastica (5,23-25) che questa diversità di date provocò una seria controversia tra Roma e le Chiese dell’Asia Minore; la polemica giunse al culmine al tempo di Papa Vittore I (189-199). La controversia non consisteva nel dilemma se la Pasqua ricordi la morte o se invece ricordi la risurrezione di Cristo, ma nel dilemma se la Pasqua debba essere celebrata nel giorno della morte o nel giorno della risurrezione di Cristo. Di fatto nel corso del III secolo si impose la data domenicale della Pasqua.
Le più antiche fonti che testimoniano la celebrazione annuale della Pasqua provengono quindi dall’area dell’Asia Minore. Le principali sono:
- l’Epistola degli Apostoli, testo apocrifo (150 ca.);
- l’omelia sulla Pasqua di Melitone di Sardi (165 ca.);
- un’omelia sulla Santa Pasqua di un Anonimo quartodecimano (fine del II secolo).
In questi documenti la celebrazione della Pasqua si presenta essenzialmente come un digiuno rigoroso, generalmente di due o tre giorni, seguito da una assemblea notturna di preghiere e letture, conclusa poi dalla celebrazione eucaristica. Risulta già in quest’epoca la lettura di Es 12 (immolazione dell’agnello pasquale).
In Occidente le testimonianze sulle celebrazioni pasquali sono scarse nei quattro primi secoli; in seguito invece, nei secoli V-VII, sono più abbondanti. Sant’Ambrogio († 397) e Sant’Agostino († 430) parlano del “triduo sacro” (o “sacratissimo”) per indicare i giorni in cui Cristo ha sofferto, ha riposato nel sepolcro ed è risorto.
A Roma la celebrazione del Triduo sacro è attestata nell’anno 416 ca., in una lettera di papa Innocenzo I al vescovo Decenzio di Gubbio: pur non parlando di “triduo”, Innocenzo menziona una speciale celebrazione della passione al venerdì e della risurrezione alla domenica, nonché il digiuno del venerdì e del sabato. Lo stesso documento testimonia che il giovedì prima di Pasqua non faceva riferimento alcuno al Triduo sacro, ma era il giorno della riconciliazione dei penitenti.
Il giovedì
In seguito, nel VII secolo, la riconciliazione dei penitenti venne inserita nella cornice di una Messa mattutina celebrata nei Titoli romani, come attesta il Sacramentario Gelasiano. Lo stesso Gelasiano è testimone di una seconda Messa, che inizia dall’offertorio, celebrata la sera del giovedì nei Titoli, il cui tema centrale è la doppia traditio (latino, “consegna”): la consegna che Giuda fa di Gesù ai suoi nemici, e la consegna che Gesù fa di sé stesso ai discepoli nell’Eucaristia. Alla Basilica lateranense invece il papa celebrava a mezzogiorno una Messa commemorativa della Cena del Signore, nel corso della quale erano benedetti il crisma] e gli altri oli.
Il Pontificale Romano-germanico (X secolo) conosce solo la Messa Crismale e quella della sera anticipata ormai all’ora terza, e colloca la riconciliazione dei penitenti prima della Messa Crismale.
I libri liturgici del XIII secolo e il Messale Romano postridentino del 1570 hanno soltanto il formulario corrispondente alla Messa che ricorda l’istituzione dell’Eucaristia. La confezione del Crisma e la benedizione degli oli hanno luogo nelle cattedrali e sono riportate dai Pontificali. Nel XVI secolo poi l’unica Messa del Giovedì santo è ormai anticipata al mattino.
Per quanto riguarda la conservazione e adorazione del Santissimo Sacramento nel Giovedì santo, le prime manifestazione al riguardo le troviamo nei secoli XII-XIII. La centralità che man mano acquista l’adorazione delle sacre Specie nella pietà del popolo cristiano è uno degli elementi decisivi che farà del Giovedì Santo un giorno del Triduo sacro.
Il venerdì
Il Venerdì Santo nella Roma del V secolo si celebra esclusivamente una liturgia della Parola; lo attestano le omelie di san Leone Magno e Lettera di papa Innocenzo I citata sopra.
Per la metà del VII secolo la liturgia papale ci ha tramandato solo le orazioni solenni che appartengono alla liturgia della Parola. Nella stessa epoca, nelle chiese presbiterali dei Titoli, la liturgia della Parola è collegata con l’adorazione della Croce e con la comunione di tutti i partecipanti con pane e vino consacrati il giorno anteriore.
Nei libri liturgici dell’alto Medioevo la Comunione non è sempre praticata. Nei libri liturgici del XIII secolo è prescritta la Comunione del solo pontefice. Prende così il via la pratica che riserverà la Comunione al solo presidente della celebrazione. Questa norma passa al Messale di Pio V del 1570, e resta in vigore fino alla riforma di Pio XII del 1956: questa permise di nuovo la Comunione di tutti i partecipanti.
Il sabato
Il Sabato Santo fu originariamente un giorno aliturgico, dedicato cioè alla preghiera, alla penitenza e al digiuno.
La Veglia Pasquale
La Veglia pasquale è il momento culminante e il nucleo da cui è nato il Triduo sacro.
Nel VII secolo essa ha una ricca struttura rituale imperniata su tre elementi fondamentali:
- celebrazione della Parola;
- celebrazione del battesimo;
- celebrazione eucaristica.
la liturgia dei Titoli inizia con l’accensione e benedizione del cero pasquale, rito che è accolto solo più tardi nella liturgia papale.
La celebrazione della Veglia tende sempre di più ad anticiparsi alle ore pomeridiane, fino a che, col Messale di Pio V del 1570, viene fissata al mattino del sabato. In questo contesto appare e si consolida la Messa della domenica di Pasqua: il Sacramentario Gelasiano e il Sacramentario Gregoriano offrono ciascuno un formulario domenicale, nel quale la risurrezione di Gesù è presentata come parte dell’unico mistero pasquale. Le fonti posteriori parleranno ormai di Domenica di Risurrezione.
Per quanto riguarda l’ordinamento delle letture bibliche della Veglia Pasquale, gli autori non sono d’accordo nell’interpretazione dei dati forniti dagli antichi Lezionari e Sacramentari. Secondo l’opinione più comune, l’antica liturgia romana conosceva due schemi di letture:
quella che fa capo al Sacramentario Gregoriano, con quattro letture dell’Antico Testamento più due del Nuovo;
quella che fa capo al Sacramentario Gelasiano con dieci letture dell’Antico Testamento più due del Nuovo.
Posteriormente, nel Messale Romano del 1570, le letture arriveranno ad essere fino a dodici dell’Antico Testamento più due del Nuovo.
A fronte della collocazione mattutina risalente al XVI secolo, Pio XII ripristinò sperimentalmente la Veglia nel 1951. Nel 1955 poi l’intero Triduo Pasquale riebbe la sua autentica unità.
La riforma del 1956 ridusse poi le letture dell’Antico Testamento a quattro (Gen. 1,1-31; 2,1-2; Es. 14,24-31; 15,1; Is. 4,2-6; Dt. 31,22-30) e conservò le due del Nuovo (Col. 3,1-4; Mt. 28,1-7).
La riforma seguita al Concilio Vaticano II ridette all’intera celebrazione maggiore unità, semplicità e ricchezza di contenuti.”.
Un altro esempio di devozione della Settimana Santa lo abbiamo a Iglesias: (https://www.italybyevents.com/eventi/sardegna/settimana-santa-iglesias/):
“In Sardegna, durante la Settimana Santa, dal 12 al 17 Aprile 2022, grandi processioni inscenano la Passione e la Morte di Cristo a Iglesias, città il cui significato in spagnolo è appunto “chiese”.
La manifestazione risale alla fine del ‘600, nel periodo della dominazione spagnola. L’evento religioso, organizzato dall’Arciconfraternita del Santo Monte, è molto partecipato da tutti gli abitanti, e già nei giorni precedenti si vive in città una atmosfera particolare in attesa delle processioni della a Settimana Santa e in particolare di quella del Venerdì Santo.
Settimana Santa – Iglesias. La prima processione, quella dei Misteri, avviene il Martedì Santo: sette sculture di legno sfilano per raccontare la Passione di Cristo. Il primo mistero raffigura Gesù che prega nell’orto degli ulivi; seguono la Cattura, la Flagellazione, l’Ecce Homo, il Calvario, la Crocifissione e la Vergine Addolorata.
Il giorno dopo nella Chiesa di San Michele i ramoscelli d’ulivo e i fiori ornamentali sono benedetti e distribuiti ai fedeli.
Giovedì sera si svolge la seconda processione: le strade si affollano di giovani e bambini con l’abito penitenziale da “Babollotti”, quello degli antichi Disciplinanti. I confratelli del Santo Monte si vestono da “Germano” (dallo spagnolo fratello), con l’abito bianco, inamidato e guarnito di fiocchi neri e il cappuccio “Sa Visiera” che nasconde il volto durante la processione come atto di umiltà. La processione è accompagnata dal suono delle “Matraccas”, dei “Matracconi” e dei tamburi.
Protagonista assoluta è la Madonna Addolorata in cerca di suo figlio Gesù nelle chiese del centro storico.
Venerdì mattina la processione del Monte: il quartiere storico de “Sa Costera” mette in scena la salita di Gesù al Calvario sempre con le matraccas e tamburi e la presenza dei Germani. I bambini portano una piccola croce lignea, in segno di penitenza.
Venerdì sera, in stile pomposo e regale la processione del Descenso nella quale è rappresentato il funerale di Gesù. È il giorno più atteso e commovente, Nel corteo sono presenti due stendardi “Is Vexillas” che precedono le statue di San Giovanni e Maddalena, due bambini con vestiti guarniti di monili d’oro, e “Is Varionis” rappresentanti i nobili Giuseppe D’Arimatea e Nicodemo, accompagnati da due servi. Infine a chiudere la processione è una croce imponente portata a spalla dai penitenti.
Nel giorno di Pasqua grande festa per l’incontro (S’Incontru) tra le statue della Madonna e del Gesù Risorto in Piazza Sella.”
E a tavola?
(https://lacuocaignorante.altervista.org/cucina-di-pasqua-in-sardegna/):
“La Pasqua è molto sentita nell’isola, e non solo dal punto di vista religioso. Numerosi sono i piatti legati a questa festività, dal classico agnello al maialino, dalle uova ai pani rituali, senza dimenticare i molti dolci che si preparano per l’occasione!
Scopriamo insieme qualcuna di queste delizie!
CUCINA DI PASQUA IN SARDEGNA. PANI RITUALI
Partiamo dall’alimento base per eccellenza, il pane, che per il periodo pasquale si associa spesso alle uova in molte cucine, non solo italiane. Se in Sicilia si prepara la cuddura e in Grecia lo tsoureki, in Sardegna si prepara Su coccoi, un pane elaborato e dalla consistenza molto particolare, al cui interno è inserito un uovo intero.
Ma non solo. La domenica delle Palme si regala ancora oggi ai bambini Sa Pippia, una bambolina di pane con sette gambe. Una specie di “calendario dell’Avvento pasquale”. Infatti per ogni giorno della Settimana Santa si stacca una gamba e ci si rende così conto di quanti giorni manchino ancora alla Pasqua.
Un altro pane dalle forme umane è Lazzaro, che ha invece l’aspetto di un uomo avvolto in un sudario. A simboleggiare la rinascita dalla morte.
CUCINA DI PASQUA IN SARDEGNA.
LA PANADA
Se in Liguria si prepara la torta pasqualina e a Napoli il casatiello, in Sardegna a Pasqua si cucina Sa Panada con agnello, carciofi e patate.
Ovviamente esistono tantissime versioni di questo piatto, alcune delle quali prevedono anche un ripieno con carciofi o piselli.
CULURGIONES CON RICOTTA
Abbiamo già parlato a lungo di questi ravioli, che abbiamo preparato nella versione ogliastrina ma anche con la ricotta.
A Pasqua, su molte delle tavole della Sardegna non mancano culurgiones con la ricotta, conditi con un leggero sugo di pomodoro. Deliziosi!
PILLUS
I pillus sono sottili strisce di pasta, tipiche del Sulcis, da condire con ragù e spezzatini di carne di capra, maiale e coniglio, oppure (per la vigilia di Natale) con aglio, acciughe, noci e pomodori secchi.
A Pasqua si cucinano in un brodo di manzo o di pecora e si condiscono con un ragù di coniglio e pomodorini freschi, aromatizzati con basilico, aglio e pepe.
Li prepareremo presto insieme.
AGNELLO ARROSTO
Ovviamente a tavola non può mancare l’agnello arrosto, cucinato con lo spiedo oppure al forno con patate. Ma spesso si prepara anche in umido, con cuori di carciofi spinosi, prezzemolo e un pizzico di zafferano, oppure con piselli e patate.
DOLCI PASQUALI
Tantissimi i dolci che si preparano per la Pasqua in Sardegna, nei quali la ricotta la fa da padrone. I più importanti e diffusi dolci sardi per Pasqua sono le Pardulas, dette anche formaggelle, cajatine, casadinas a seconda della zona.
Sono dolci cestini di pasta, a forma di stella, ripieni di ricotta o formaggio fresco, insaporito da zafferano e scorze di agrumi e cotti in forno.
In alcune zone della Sardegna, per Pasqua si prepara il torrone, morbido e molto dolce, contiene mandorle, bianchi d’uovo e soprattutto il miele.
La tradizione è conservata nel paese di Tonara dove ogni lunedì di Pasquetta si festeggia la Sagra del Torrone.
Nella zona di Oristano si preparano invece i Mustazzolus, i Mostaccioli, forse i dolci più antichi della Sardegna.
Come i nostri, anche i mustazzolus hanno forma romboidale. Sono soffici biscotti al profumo di limone, con lunghi tempi di lievitazione, dal momento che contengono nell’impasto lievito di birra.
Preparati per tutte le feste, e quindi anche per la Pasqua, i Papassinas sono realizzati con un impasto di farina, strutto, uova, uva passa (papassa), mandorle e/o noci tritate.
In Gallura e nel Logudoro, per la Pasqua si preparano le TILICCAS (Tiricche o Cozzule), dolci con un ripieno a base di mosto e diverse forme.
Nel Campidanese (ma ormai in tutta la Sardegna), per Pasqua si preparano anche i Piricchitus, dolci al limone semplici e veloci da preparare.
Immancabili in molte zone le Sebadas o Seadas, forse i dolci sardi più famosi. Sono ravioli fritti farciti di formaggio fresco e ricoperti di miele fuso.”.
Vediamo le ricette:
- Su coccoi;
- Sa panada;
- Is culurgiones de arrescottu;
- Is pillus;
- Is pardulas;
- Is mustazzolus;
- Is pabassinas;
- Is tillicas
- Is piricchitus;
- Le Seadas.
SU COCCOI (https://www.ileanaconti.com/su-coccoi-sardu/):
“Ingredienti:
- 1 kg semola fine di grano duro;
- 40 g di “framentu” sostituibile con lievito madre;
- 400 ml circa acqua tiepida;
- 20 g sale.
Procedimento:
Innanzitutto bisogna lavorare su framentu con 50 ml di acqua tiepida, aggiungere la semola e continuare a lavorare la pasta aggiungendo, poco alla volta, la restante acqua tiepida salata. Impastare fino a quando non si otterrà un composto liscio ed omogeneo. Quindi, coprirlo con un canovaccio e lasciarlo riposare per almeno un’ora. Dividere l’impasto in tre pezzi e lavorarli con le mani in modo da ottenere dei cilindri.
Piegarli a ferro di cavallo e decorarli a piacere con un coltello affilato o con le forbici. Lasciare riposare i pani ottenuti, coperti da un canovaccio leggermente infarinato, quindi, coprirli con abbondante semola e col canovaccio fino a raddoppio del volume.
Cuocere per circa 45 minuti nel forno, preriscaldato a 240 °C, quindi, sformare e lasciare raffreddare a temperatura ambiente.”.
SA PANADA (https://blog.giallozafferano.it/dolcesalatomiky/panada/):
“Ingredienti:
PER LA PASTA VIOLADA
- 300 g farina di grano duro (semola);
- 180 ml acqua;
- 30 g strutto;
- q.b. sale.
PER FARCIRLA
- 1 kg agnello;
- 1 kg patate;
- 1cipolla;
- 1 spicchio aglio;
- 1 ciuffo prezzemolo;
- 1 bustina zafferano;
- 4 pomodori secchi;
- q.b. sale;
- pepe (a piacere):
- 2 cucchiai olio extravergine d’oliva.
Procedimento:
Per prima cosa tagliate la carne a pezzi piccoli, in questo modo sarà più pratica ma anche più gustosa perché riuscirà ad insaporirsi meglio. Sbucciate le patate, lavatele e tagliatele a fette, poi versatele in una ciotola insieme alla carne. Lavate un ciuffo di prezzemolo e tritatelo, sbucciate lo spicchio d’aglio e la cipolla, tritate anche quelli, tritate anche il pomodoro secco, aggiungete tutto nella ciotola con carne e patate, aggiustate di sale e pepe (se utilizzate pomodori secchi salati non eccedete con il sale), ultimate il tutto aggiungendo anche la bustina di zafferano e l’olio extravergine, a questo punto non vi resta che amalgamare tutti gli ingredienti. Versate la farina in una ciotola o nella planetaria, aggiungete una presa di sale e versate l’acqua a filo man mano che impastate e lavorate l’impasto fino ad assorbirla completamente. Una volta assorbita tutta l’acqua, versate poco alla volta anche lo strutto, lavorate ancora l’impasto fino a completo assorbimento. A questo punto, avrete ottenuto un impasto liscio e morbido. Infarinate il piano da lavoro con farina di grano duro, dividete l’impasto in due parti, vi servirà un po’ più grande quello per il fondo. Stendete i due dischi di pasta violada, calcolando che quello per il fondo deve arrivare a poggiare sui bordi della teglia. Farcite l’interno con la carne preparata precedentemente. A questo punto, prendete l’altro disco di pasta violada, poggiatelo sul ripieno, sigillate i bordi, poi se necessario tagliate la pasta in eccesso con delle forbici. Non vi resta che intrecciare il bordo pizzicando la pasta con i polpastrelli. Accendete il forno selezionando la modalità ventilato, portatelo a 170° e cuocete la panada a forno caldo per un’ora, passata un’ora, aumentate la temperatura portandola a 185°C e continuate la cottura per altri 30/40 minuti circa o comunque fino a completa doratura. Non vi resta che sfornare “sa panada”, tagliare il coperchio e servirla, avendo cura di servire sia l’interno che l’esterno contemporaneamente.”.
IS CULURGIONES DE ARRESCOTTU (https://www.taccuinigastrosofici.it/ita/ricette/contemporanea/paste-risotti/Culingionis-de-casu-o-de-arrescottu-sardi.html):
“Ingredienti:
INGREDIENTI PER LA PASTA
- Farina di semola di grano duro 300 gr;
- Acqua 1 dl;
- Sale 1 cucchiaio.
INGREDIENTI PER IL RIPIENO
- Patate – rosse 1 kg;
- Olio – extravergine d’oliva mezzo bicchiere;
- Aglio 2 spicchi;
- Menta 6/7 foglie;
- Pecorino fresco 300 gr.
Procedimento:
PREPARAZIONE DEL RIPIENO
Cuocete le patate, una volta bollite sbucciatele e riducetele in purea con uno schiacciapatate; aggiungete gradatamente l’olio, l’aglio tritato finemente e la menta tritata. A poco a poco incorporate il pecorino fresco, fino ad ottenere un impasto liscio ed omogeneo. Lasciate riposare qualche minuto l’impasto e nel frattempo dedicatevi alla pasta.
PREPARAZIONE DELLA PASTA CULURGIONES
Lavorate la farina con l’acqua e il sale molto energicamente fino a quando l’impasto avrà raggiunto una certa elasticità che permetterà di essere stirato in sfoglie sottili. A questo punto ricavatene dei dischetti di 6/7 centimetri di diametro; sulla metà di ogni disco posate una quantità di purea grande quanto una piccola noce, ricoprite con l’altra metà del disco, e saldate le 2 semicirconferenze sovrapposte, con una sottile pinzatura praticata con la punta delle dita. Il risultato finale sarà un raviolo dalla forma di fico pressato, che ricorderà molto una spiga. Cuocete in acqua salata per 6 o 7 minuti e condite con un sugo di pomodoro e abbondante pecorino grattugiato.”.
“Ingredienti:
Semola, acqua, sale e zafferano.
Preparazione:
La lavorazione è rigorosamente fatta a mano. Lavorare bene la semola con l’acqua tiepida, leggermente salata, sinché abbia una consistenza piuttosto dura. Si ritagliano dei pezzi di pasta con forme oblique o triangolari. successivamente alla cottura vengono come da ricetta antica si condiscono con un ottimo sugo di galletto ruspante.”. La stessa pasta può essere utilizzata per la preparazione dei “malloreddus”.
IS PARDULAS (https://www.sardegnatoujours.com/is-pardulas-di-ricotta-pardulas-de-arrescottu/):
“Ingredienti:
INGREDIENTI SFOGLIA:
- Semola rimacinata – 200 gr.;
- Acqua – 80 gr.;
- Zucchero – 1 cucchiaino;
- Sale – 1 pizzico;
- Strutto – 30 gr.
INGREDIENTI RIPIENO:
- Ricotta di pecora – 500 gr.;
- Zucchero -60 gr.;
- Semola – 130 gr.;
- Tuorli – 2 (se sono piccoli);
- Arancia e Limone scorza grattugiata – 1;
- Zafferano – 1 bustina;
- Lievito – 1/2 bustina.
DECORO:
- Miele e diavoletti;
- Oppure la Glassa con i diavoletti.
Procedimento:
PREPARAZIONE SFOGLIA
Far sciogliere lo strutto in dell’acqua tiepida, unire la semola, lo zucchero, e impastare il tutto a mano o con una impastatrice, fino ad ottenere una pasta soda e liscia ma abbastanza consistente. Avvolgerla con della pellicola e lasciarla riposare.
PREPARAZIONE RIPIENO
Dopo aver fatto perdere tutto il siero possibile alla ricotta, preparare il ripieno amalgamando a mano con un cucchiaio la ricotta setacciata, le uova, lo zucchero, la farina, la scorza degli agrumi, lo zafferano preventivamente sciolto in un goccio di latte caldo.
Preparare con questo impasto delle palline grandi come una noce, circa 35/40 g. Tirare la sfoglia e ritagliare dei dischetti di circa 8 cm, posizionare al centro la pallina di ripieno e pizzicare i bordi della sfoglia in sei/sette punti formando il classico cestinetto. Infornare in forno già caldo a 170° C circa per 30/40 minuti, sin quando sono dorate.
DECORAZIONE PARDULAS
Lasciarle freddare. Ungerle con miele intiepidito e decorare con i diavoletti. Oppure preparare la glassa, dopodiché spennellarla nella superficie, aggiungere i diavoletti e lasciare asciugare.”.
IS MUSTAZZOLUS (https://www.traccedisardegna.it/gastronomia/mostaccioli-sardi-mustazzolus):
“Ingredienti:
- 500 g di farina;
- 500 g di zucchero semolato;
- 150 g di zucchero a velo;
- 1 scorza di limone;
- una bustina di lievito di birra;
- 1/2 cucchiaino di bicarbonato;
- 1/2 cucchiaio di cannella in polvere.
Procedimento:
Prendete la farina, il lievito di birra (sciolto in poca acqua tiepida) e mescolate bene fino ad ottenere un composto omogeneo. Copritelo con un canovaccio e fatelo lievitare per almeno un’ora. Riprendete il composto ed aggiungetevi, gradualmente, la scorza di limone, lo zucchero, il bicarbonato e la cannella: lavoratelo a lungo e con cura. Lasciate lievitare per 2 giorni. Stendete l’impasto con un mattarello fino ad ottenere uno spessore di circa 0,5 cm e ritagliate la sfoglia in tanti rombi della lunghezza di circa 6 cm; quindi sistemateli in una teglia imburrata e infarinata e fate cuocere in forno preriscaldato a circa 160° fino ad ottenere una doratura uniforme. A questo punto, togliete i mostaccioli dal forno e spennellateli con la glassa che si ottiene facendo sciogliere lo zucchero a velo in un po’ d’acqua. Lasciateli asciugare e sfreddare. Servite.”.
“Ingredienti:
- UVETTA 250 gr;
- GRANELLA DI MANDORLE 100 gr;
- GHERIGLI DI NOCI TRITATI 100 gr;
- PINOLI TRITATI 100 gr.
PER L’IMPASTO
- FARINA 00 500 gr;
- ZUCCHERO 150 gr;
- BURRO A PEZZI AMMORBIDITO 140 gr;
- UOVA 2;
- LIEVITO IN POLVERE PER DOLCI 1 bustina;
- LATTE 1 cucchiaio;
- SALE FINO 1 pizzico.
PER LA GLASSA
- ZUCCHERO A VELO 200 gr;
- SUCCO DI LIMONE 2 cucchiai;
- ACQUA 1 cucchiaio.
PER DECORARE
- CONFETTINI COLORATI q.b.
Procedimento:
Mettete l’uvetta in una ciotola di acqua tiepida e lasciatela in ammollo per 15 minuti circa. Nel frattempo amalgamate insieme la granella di mandorle con pinoli e noci tritate. Preparate ora l’impasto. Mettete in una ciotola la farina, lo zucchero, le uova leggermente sbattute, il burro morbido a pezzi, il lievito e un pizzico di sale. Aggiungete anche un po’ di latte per ottenere un impasto più morbido. Amalgamate bene tutti gli ingredienti e unite al composto la frutta secca tritata e l’uvetta ben strizzata e passata nella farina. Spennellate un foglio di carta forno con il burro, stendeteci sopra l’impasto realizzando uno spessore di 1,5 centimetri e formate dei rombi. Sistemateli sulla leccarda e cuocete in forno già caldo a 160° per 10 minuti. Abbassate poi il forno a 150° e continuate la cottura per 50 minuti. Una volta pronti lasciateli raffreddare e preparate la glassa. Mescolate in una ciotola lo zucchero a velo con l’acqua e il succo di limone. Stendete la glassa sui dolcetti e aggiungete i confettini colorati. Lasciate asciugare la glassa. Le vostre pabassinas sono pronte per essere gustate.”.
“Ingredienti:
PER LA SFOGLIA
- 250 g farina di semola;
- 50 g strutto;
- 100 ml acqua tiepida*;
- 1 pizzico sale.
* non è detto che serva tutta
PER IL RIPIENO
- 1/2 l saba di mosto d’uva;
- 250 g semolino;
- 50 g mandorle tritate;
- 30 g uvetta;
- 1 cucchiaino “Saporita” o altro mix di spezie simili;
- 1/2 cucchiaino cannella in polvere;
- 1 cucchiaio di buccia d’arancia grattata (mia madre mette un cucchiaino di buccia d’arancia secca macinata).
Procedimento:
Mettere la saba meno 50 ml in un tegame capiente e scaldarla a fiamma bassissima (io uso lo spargifiamma) fino a che non inizia a sobbollire, buttare il semolino a pioggia dentro la saba mescolando con una frusta (come si fa per la polenta), sempre tenendo il fuoco bassissimo mescolare il semolino continuamente, aggiungerci man mano le mandorle tritate e le spezie, continuare a mescolare finché il composto non si stacca dalle pareti del tegame, a questo punto (sarà piuttosto duretta da girare) aggiungere le uvette ammollate e spegnere (il tempo di cottura è di circa 20 minuti), lasciate freddare il composto. Impastare la farina di semola con lo strutto e poca acqua tiepida, aggiungere l’acqua piano piano, si deve ottenere un impasto piuttosto sodo, una volta impastato avvolgere con della pellicola e lasciar riposare fino a che il ripieno non si sarà freddato.
Stendere la pasta (io uso la sfogliatrice) la pasta può essere più o meno sottile, a me piace sottile quindi la porto fino alla penultima tacca della macchinetta. Con la rotella dentata tagliare strisce lunghe circa 12 cm e altre 3, fare col ripieno dei salamotti di 10 cm col diametro di poco meno di uno e disporli al centro delle strisce di pasta, rialzare i bordi della pasta e stringere le estremità col pollice e l’indice per richiuderle, dare alle caschettas una forma di S o di U, e disporle sulla leccarda del forno, infornare a forno già caldo e cuocere 10/15 minuti a 160°, il ripieno è in realtà già cotto quindi deve cuocere solo la pasta che deve appena ambrarsi.
Una volta sfornati si spennella la superficie con la saba tenuta da parte (attenzione solo il ripieno) e si cosparge con la momperiglia.”.
“Ingredienti:
PER LA PASTA:
- FARINA 400 g;
- TUORLI D’UOVO 300 g;
- OLIO DI SEMI 120 ml;
- ZUCCHERO SEMOLATO 30 g;
- LIEVITO PER DOLCI 16 g;
- SCORZA GRATTUGIATA DI LIMONE 20 g.
PER LA GLASSA:
- ZUCCHERO SEMOLATO 600 g;
- ACQUA 220 ml;
- ESSENZA AI FIORI D’ARANCIO 2 ml.
Procedimento:
STEP 1
Per preparare i pirichittus, cominciate mettendo i tuorli in una ciotola capiente assieme a un paio di cucchiai di zucchero e lavorateli con la frusta da cucina fino a ottenere una consistenza liscia e cremosa, quindi incorporate l’olio di semi e la scorza grattugiata di limone continuando a mescolare con la frusta.
STEP 2
In una ciotola a parte unite la farina setacciata con il lievito, quindi aggiungete il composto poco per volta, cominciando a lavorarlo con le mani, fino ad ottenere una consistenza morbida ed elastica. Avvolgete l’impasto con la pellicola trasparente e mettetelo a riposare in frigo per almeno 30 minuti.
STEP 3
Trascorso il tempo necessario, tirate l’impasto fuori dal frigo e a questo punto procedete con la cottura dei pirichittus. Prelevate delle porzioni di impasto grandi quanto una noce e formate delle palline, sistematele su una leccarda ricoperta di carta forno e infornate facendole cuocere nel forno preriscaldato a 180° per 20 minuti.
STEP 4
Nell’attesa dedicatevi alla glassa: ponete lo zucchero in una padella capiente, versateci dentro l’acqua e l’essenza ai fiori d’arancio. Mescolate energicamente e portate ad ebollizione, lasciando evaporare completamente l’acqua.
STEP 5
A questo punto, una volta sfornati e raffreddati i dolcetti, versateli un poco per volta nella padella, all’interno della quale si sarà formata una patina di zucchero rappreso, e fateli roteare finché non si saranno ricoperti completamente di glassa.
STEP 6
Togliete i pirichittus glassati dalla padella, disponeteli su una teglia e lasciateli raffreddare completamente prima di gustarli.”.
LE SEADAS (https://ricette.giallozafferano.it/Seadas-sebadas.html):
“Ingredienti:
INGREDIENTI PER 12 SEADAS
- Strutto 70 g;
- Farina di grano duro 500 g;
- Uova medio 1;
- Acqua tiepida 250 g.
PER IL RIPIENO
- Pecorino fresco 500 g;
- Acqua 70 g;
- Scorza di limone 1.
PER GUARNIRE
- Miele di castagno q.b.
Procedimento:
Per realizzare le seadas iniziate dall’impasto: in una ciotola versate la farina setacciata, poi unite l’uovo intero, versate a filo l’acqua tiepida e iniziate a impastare con le mani (in alternativa potete usare una planetaria). Aggiungete poco alla volta anche lo strutto continuando ad impastare per amalgamarlo. Quando l’impasto risulterà abbastanza compatto, trasferitelo su una spianatoia leggermente infarinata e continuate ad impastare fino ad ottenere un panetto liscio ed elastico. Avvolgete il panetto con la pellicola per alimenti e fate riposare l’impasto per 30 minuti. Intanto occupatevi del ripieno al formaggio: grattugiate la scorza di un limone non trattato e tenetela da parte. Grattugiate il pecorino con una grattugia dai fori larghi, tipo julienne e trasferitelo in un piccolo tegame aggiungete l’acqua e scioglietelo a fuoco moderato mescolando di continuo, ci vorranno circa 8-10 minuti. Quando il formaggio sarà sciolto aromatizzate con la scorza di limone e rovesciatelo su un tagliere, stendetelo con una spatola e lasciatelo rassodare, poi con un coppapasta rotondo del diametro di circa 9 cm ricavate dischi. Riprendete il panetto di impasto e stendete la pasta a mano oppure con l’aiuto della macchina, tirate la pasta fino ad ottenere una sfoglia spessa 3 mm. Adagiate sulla sfoglia i dischi di formaggio ben distanziati tra di loro e ricoprite con un’altra sfoglia di pasta. Fate aderire la pasta intorno al ripieno premendo con le dita per eliminare eventuali bolle d’aria, come si fa per i ravioli. Con un coppapasta dai bordi ondulati del diametro di 10,5 cm ritagliate le singole seadas ed eliminate la pasta di scarto. Ora potete procedere con la cottura: in un tegame riscaldate l’olio di semi e quando avrà raggiunto 170° immergete le seadas una alla volta, cuocete per un paio di minuti, poi scolatele con una schiumarola e adagiatele su un vassoio rivestito con carta assorbente in modo da asciugare l’olio in eccesso. In alternativa potete cuocere le seadas in forno statico preriscaldato a 180° per 15 minuti, ma il risultato sarà meno fragrante rispetto alla tradizionale frittura. Trasferite le seadas su un piatto di portata, guarnitele con il miele quando sono ancora calde e servite subito!”.
Concludo augurandovi non solo buon appetito, ma, soprattutto, buona Pasqua.
Dal punto di vista universitario la mia carriera si potrebbe riassumere in poche parole: farmacista, biologa e nutrizionista . La passione dell’enogastronomia è nata, invece, un po’ prima del periodo universitario. Già dalle superiori, frequentando l’Istituto per Chimici “Michele Giua”, una delle materie di studio era Impianti Chimici ed uno dei docenti, l’allora Direttore della Cantina di Dolianova, ci aveva fatto studiare tutto il processo di produzione del vino, degustazione compresa. È stata una passione nata in quel periodo e che ho inseguito, per un bel po’ di tempo, nei periodi un po’ più liberi dagli studi universitari e di aggiornamento professionale. Finalmente nel 2019 sono diventata Sommelier e nel 2020 Maestro Degustatore Salumi, ma intorno al 2000 ho diretto la produzione alimentare e liquoristica presso un’azienda sarda, occupandomi anche di Ricerca scientifica applicata alla produzione industriale. Con Epulae ho iniziato a scrivere di questo mondo che mi appassiona, cercando di trasmettere non solo l’entusiasmo, ma anche tanti anni di approfondimento e di esperienza pratica.